Un grido di disperazione, la lettera di Michele, suicida a 30 anni

Michele era un trentenne di Udine. Era figlio di quel Nord-Est che conobbe prima  il boom e poi la crisi di centinaia di aziende, la disperazione di migliaia di disoccupati. Michele era stanco di un’esistenza di precariato e con una corda ha deciso di farla finita, motivando la propria scelta con una lettera pubblicata per scelta dei genitori dal Messaggero Veneto. I genitori stessi spiegano la volontà di rendere pubbliche le ultime parole del figlio:

Nostro figlio è stato ucciso dal precariato, il suo grido è simile ad altri che migliaia di giovani probabilmente pensano ogni giorno di fronte a una realtà che distrugge i sogni. Non siamo riusciti neppure a cogliere la profondità del disagio. Le sue parole sono un grido strozzato, è l’analisi spietata di un sistema che divora i suoi figli migliori. Questo è un allarme rosso, un grave fenomeno sociale, che ha voluto denunciare

UNA GENERAZIONE DI AVVILITI

Probabilmente qualcosa non va e quella di Michele è una critica spietata verso la società. Le parole del ragazzo fanno emergere un forte senso di sfiducia verso una società “che non premia i talenti e sbeffeggia le ambizioni“. Michele si è tolto la vita perché “tradito” da un’epoca che non è stata in grado di accoglierlo.

Sono le parole di una persona stanca, ma non troppo per non ragionare. Parole stanche, ma lucide e sensate. Michele sottolinea la propria voglia e il proprio diritto di poter scegliere per se stesso. Infine cita il ministro del lavoro Poletti (“Complimenti a Poletti. Lui sì che valorizza gli stronzi“).

LA STORIA DEGLI ESCLUSI

Massimiliano Santarossa, scrittore friulano e narratore realista delle periferie italiane e degli esclusi, prova a spiegare il gesto di Michele con dure parole

La colpa non è dell’economia in sé, ma di chi ha fatto dell’economia un Dio. In Friuli, come in Veneto, con la crisi economica e la globalizzazione è crollato un intero sistema di valori che si era incentrato solo sul lavoro. C’è un’altra faccia dietro al mito del Nord-Est produttivo: c’è la storia di chi ne è rimasto escluso, come questo ragazzo, o come dei tanti che ritrovi al bar ogni giorno, senza più speranze né sogni

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA

Vi proponiamo di seguito il testo integrale della lettera scritta da Michele il 31 gennaio, prima di suicidarsi.

“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco.  Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirmene sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.

Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia leambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile

 A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo,elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema.
Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente diaffrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo digaranzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche diprospettive.

Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuodestino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto”.

Michele