Maria di Trapani costretta a fare bisogni in pentola, Indagati Alberto Lipari e assistente

Dovranno rispondere all’accusa di maltrattamenti, nei confronti di Maria di Trapani, davanti al Tribunale di Marsala Alberto Lipari e la sua assistente, Rosalba Platano. I due sono stati accusati di aver sfruttato la 42enne Maria Caruso, portandola in giro per i locali senza mai pagarla. In casa la vittima sarebbe stata tenuta in condizioni “intollerabili”.

Maria Caruso, meglio conosciuta come Maria di Trapani,  è originaria di Erice ed è diventata popolare grazie al programma Stranamuri Sicilianocondotto da Alberto Lipari, lo spiritoso conduttore che è finito nei guai insieme alla sua assistente.

IL CAPO D’IMPUTAZIONE

I due, in concorso tra loro, dopo aver fatto acquistare a Maria Caruso una certa popolarità, averla convinta a seguirli in giro per locali della Sicilia per fare serate di promozione con la falsa promessa di guadagni, approfittando anche delle sue condizioni di deficit cognitivo , per un mese la tenevano reclusa in una stanza presso un’abitazione di Marsala

E proprio in quell’abitazione in quel di Marsala i due avrebbero costretto la donna a “espletare i propri bisogni in una pentola” , privandola così “dei presidi igienici più elementari“.

Maria di Trapani

Le accuse non finiscono qui. Infatti i due avrebbero mal nutrito e dileggiato la povera Maria, che avrebbe subito anche forme di violenza, come scrivono i magistrati:

Quotidianamente percossa dai figli della stessa Platano

Maria Caruso sarebbe stata ospitata nell’abitazione della  Platano, all’interno del villaggio Kartibbubbo, a Mazara.

Lì avrebbe subito vessazioni e svolto le pulizie di casa. I magistrati proseguono:

La sera veniva agghindata e trascinata presso vari locali per serate promozionali, per le quali non le veniva mai consegnato alcun tipo di compenso, che veniva incassato dal Lipari e dalla Platano

Maria è assistita dagli avvocati Donatella Busciano e Natalia Dispinseri e si è costituita parte civile nell’ambito del procedimento.

Il gup Amato, nel decreto di rinvio a giudizio, scrive di maltrattamenti che “rendevano di fatto intollerabile la normale vita quotidiana”.