Essa occupa in Italia, dislocate su sei sedi, Milano, Roma, Napoli, Rende, Catania e Palermo, 7862 unità, prevalentemente consulenti telefonici inquadrati al 3º e 4º livello del C.C.N.L. delle telecomunicazioni, nonché 26 figure tra quadri e dirigenti.
Nata con dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato nel 2000/2001, beneficiando, ove possibile delle agevolazioni contributive previste dalla legge 407/98 per le aree economicamente depresse del sud Italia, l’azienda raggiunge livelli di occupazione elevatissimi, assumendo personale che viene inquadrato dapprima come co.co.co e successivamente come Lavoratori a progetto secondo la legislazione vigente allora. A seguito delle attività ispettive condotte su più call center operanti sul territorio nazionale, gli ispettori ravvisarono che nell’attività inbound dei call center (cioè quella nelle quali un call center riceve chiamate per assistenza) mancava “un progetto” che legittimasse l’uso di queste ultime attività di lavoro precario ed invece si ravvisavano a tutti gli effetti le caratteristiche del lavoro subordinato.
Il governo di allora, governo Prodi, decise quindi di intervenire avviando un programma di stabilizzazione di tutti i lavoratori a progetto attraverso la così detta circolare n.17/2006, detta anche “Circolare Damiano” che raggiungeva un compromesso tra mondo delle imprese e mondo del lavoro, poiché attraverso accordi sindacali, raggiunte delle conciliazioni con i lavoratori, veniva sanata tutta l’irregolarità contributiva antecedente al quinquennio precedente l’assunzione a tempo indeterminato. In più, la legge di stabilità del 2007 prevedeva ingenti sgravi fiscali per le imprese a fronte di ogni trasformazione di contratto parasubordinato in subordinato.
Almaviva, manifestando la sua forza economica di operatore leader nel settore, decise quindi di trasformare tutti i lavoratori precari in lavoratori subordinati, superando le 5000 stabilizzazioni.
ALMAVIVA NEL MERCATO DOPO IL 2007: Questo processo di stabilizzazione cre un livellamento di tutti gli outsourcers operanti sul mercato, omogenizzando il costo del lavoro per qualche anno e forti di questo risultato, Almaviva decise di modificare il proprio statuto societario, rinunciando a delocalizzazione l’attività di Contact center all’estero.
Se non che, negli anni successivi, sulla spinta dei committenti appaltanti a richiedere maggiori sconti sulle tariffe commerciali, i concorrenti di Almaviva presero una strada completamente opposta, aprendosi sempre più alla pratica di aprire proprie filiali operative in paesi extra Unione Europea (Albania) ovvero con forti economie depresse come la Romania. In questo contesto, i risultati netti dei conti economici di Almaviva cominciano ad assottigliarsi sempre più, costringendo l’azienda ad interventi di ricapitalizzazione negli anni e nel complesso il gruppo ha visto diminuire il fatturato complessivo del 33% rispetto al 2011. Per compensare i disastrosi dati di bilancio dell’attività svolta dai dipendenti subordinati, ha ripreso quindi ad utilizzare forme contrattuali parasubordinate per l’attività outbound (quella di contatto verso l’utenza dei committenti o dei possibili loro clienti) destrutturando le poche regole disciplinanti questa attività lavorativa ed introducendo un fantasioso concetto retributivo da loro definito “talking time”, ossia retribuire il collaboratore sugli effettivi minuti di “parlato” con l’utente finale, attivando quindi migliaia di contratti di collaborazione per traguardare obbiettivi economici aziendali che per il collaboratore si sostanziano invece in stipendi “da fame”: a volte non superano € 150,00 mese a fronte di una presenza giornaliera.
LA CARENZA DELLA LEGGE E SUA OMISSIONE: La crisi di Almaviva, non pu comunque essere ridotta solo ad un problema legato alle sole delocalizzazioni, ma ad esso si aggiunge la carenza negli anni di regole disciplinanti i contratti di appalto nei call center ovvero nella mancata applicazione di norme esistenti; nello specifico, riferendoci a quest’ultimo aspetto, risulta totalmente disatteso l’art.24 bis d.L. 83 del 2012, laddove, a tutela dei dati sensibili dei clienti delle aziende committenti, colui che chiama un numero di assistenza di un qualunque gestore, deve essere preventivamente avvisato del territorio dove la chiamata viene gestita e poter scegliere di dirottarla, ove lo volesse, sul territorio italiano: la violazione di questo disposto comporta per il committente una sanzione pari ad € 10.000,00/giorno non applicata.
La carenza di norme nazionali sugli appalti del settore ha fatto sì che in questi anni, l’elemento fondante nell’aggiudicazione degli appalti risulta essere il massimo ribasso sul costo del lavoro e su un’attività d’impresa come quella dei call center in outsourcers, dove il costo del lavoro rappresenta l’80% del costo di produzione, le imprese che che operano sul mercato da più anni e che occupano lavoratori con maggiori scatti di anzianità, non hanno alcuna possibilità di rimanere attive all’interno del mercato stesso.
Da qui il ricorso per Almaviva agli ammortizzatori sociali sin dal 01/06/2011 in misura sempre crescente attraverso l’attivazione dei contratti di solidarietà difensiva, che sebbene non consentano a questo tipo di impresa di marginare ricavi, hanno contenuto negli anni gli esuberi di personale via via crescenti.
LO SGAMBETTO DELL’INPS AI LAVORATORI: È bene sapere per che tutte le società di contact center non sono state inquadrate presso l’Inps con la medesima classificazione d’impresa e contemporaneamente esistono aziende classificate nel settore “Industria” ed altre nel settore “Servizi”: questa distinzione comporta carichi finanziari diversi circa gli obblighi datoriali di versamenti contributivi, maggiori nel primo settore e minori nel secondo; Almaviva, pur denunciando alle OO.SS. ed alle Istituzioni la non omogeneità d’inquadramento di tutte le imprese operanti nel mercato e ad essa concorrenti, è stata sempre inquadrata, fino al mese di dicembre 2015, nel settore industria, ma con un intervento “unilaterale” la stessa INPS, ha modificato l’inquadramento di classificazione dell’azienda spostandola da “Industria” a “Servizi”. Questo ha si comportato un minor carico contributivo per l’azienda, alleggerendo i suoi conti, ma ha prodotto come risultato un danno economico maggiore per i lavoratori, in quanto le percentuali di rimborso per le giornate di solidarietà a favore degli stessi è notevolmente diminuito ed in più, l’accesso agli ammortizzatori sociali, definiti nello specifico “in deroga” per questa categoria d’imprese, è subordinato ai fondi stanziati appositamente nei bilanci dello stato e sono notevolmente inferiori a quelli del settore “industria”.
ANCHE IL JOB’S ACT CI METTE LA SUA: Infine i recenti interventi del legislatore in tema di riforme del mercato del lavoro, “Job’s Act”, causano al sistema le seguenti anomalie a danno dei soli lavoratori: da un lato gli sgravi fiscali per le nuove assunzioni stanno facilitando i ribassi sul costo del lavoro per nuovi imprenditori che s’inseriscono nel mercato, con il placito assenso dei committenti e sottraggono il lavoro a quelle aziende che operano per quegli stessi committenti da più anni; dall’altro i lavoratori vengono licenziati per essere eventualmente assunti con la disciplina della nuova riforma, perdendo salario e diritti del precedente inquadramento.
IL PIANO INDUSTRIALE ALMAVIVA:
Tutto ci premesso, il 21 marzo 2016, alle ore 12:00, in una riunione simultanea tra le tre sedi coinvolte Almaviva decide di procedere con l’apertura delle procedure di mobilità ai sensi della legge 223/91 mettendo alla porta, nonostante una fase negoziale con Sindacato ed Istituzioni 2988 lavoratori così ripartiti: 1670 a Palermo, 918 a Roma e 400 a Napoli, una tragedia sociale di dimensioni superiore a qualunque crisi delle più importanti industrie italiane. Dopo aver dichiarato un piano di esuberi su base nazionale che ha legittimato il ricorso al contratto di solidarietà per tutti i siti sin dal 2012 ed aver confermato gli stessi esuberi anche in occasione dell’ultimo contratto di solidarietà il 18 dicembre 2015, Almaviva pensa bene di scegliere la strada più semplice: puntare ai tra siti dove le anzianità contrattuali sono più alte, aumentare il numero degli esuberi rispetto a quelli effettivi per scegliere sicuramene essa stessa di cominciare a delocalizzare.
Tutto ci rifiutando in maniera aprioristica il dialogo con le OO.SS. circa la possibilità di accedere ad ulteriori ammortizzatori sociali, garantiti già dallo stato, che darebbero la possibilità di attendere le manovre correttive annunciate dal Governo e dichiarate in un O.d.g. del Mi.s.e. in data 09/03/2016; dimenticando la stessa Almaviva di aver avuto accesso negli anni a milioni di euro di agevolazioni economiche, contributive e fiscali che gli hanno permesso di costruirsi un impero all’estero nel mondo dei Contact Center (Brasile, Belgio, Cina) nonché di spandersi in settori produttivi alternativi come quelli dell’Information Tecnology.
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