Agrumi in Sicila, un terzo dei campi non esiste più, 25mila i lavoratori irregolari nel settore

A Catania gli irregolari sono il doppio dei regolari.

Secondo l’Istat negli ultimi 15 anni è scomparso il 31 % degli aranci , il 50% dei limoni e il 18 % dei mandarini. Si tratta di un terzo dei terreni coltivati con questi agrumi. Al posto del limone verdello, il tarocco e altre tipologie varie di agrumi tipici siciliani sorgono spedite in alto pale eoliche, impianti fotovoltaici nel migliore dei casi oppure campi abbandonati dai contadini che hanno perso la speranza perché fuori mercato.

Globalizzazione e grande distribuzione.

Proprio il mercato globalizzato è uno dei motivi di questa tragica e progressiva desertificazione economica. Per le arance la grande distribuzione paga ai coltivatori al massimo 30 centesimi di euro al chilogrammo, mentre è andata ancora peggio a chi ha “venduto”, praticamente regalato, le arance all’industria della trasformazione alimentare, solo 10 centesimi al chilo. La concorrenza di paesi come il Marocco, la Tunisia, la Turchia e l’Argentina sono figlie del costo del lavoro bassissimo ma non solo. Si tratta di un circolo vizioso, il disboscamento delle campagne italiane ha favorito l’invasione di frutta straniera con le importazioni di agrumi freschi e secchi che negli ultimi 15 anni sono praticamente raddoppiate per raggiungere, nel 2015, il massimo storico di 480 milioni di chili. Sono andati persi 60mila ettari di agrumi e ne sono rimasti 124mila, dei quali 30mila in Calabria e 71mila in Sicilia.

Un esercito di 25mila lavoratori irregolari.

Il costo del lavoro alto in Italia è spesso la punta di un iceberg che nasconde sotto lavoro nero, sfruttamento e caporalato. Un esercito di almeno 25 mila lavoratori irregolari impiegati nell’agricoltura dell’Isola, secondo una stima della Flai Cgil Sicilia. Una guerra tra poveri per portare a casa qualche euro. Nella Sicilia delle contraddizioni ci sono le imprese che chiudono, ci sono quelle che sfruttano e poi chiudono, ci sono quelle che sfruttano e si arricchiscono. Uno dei più grandi serbatoi di forza lavoro da sfruttare illegalmente si trova a Mineo dove sorge uno dei Cara più grandi d’Italia. Si tratta di una struttura che accoglie migliaia di migranti, in attesa per mesi per lo status di rifugiato, disposti a spaccarsi la schiena per pochi euro l’ora. Si tratta, secondo alcune stime fatte dalla CGIL catanese di 400 persone che, nei periodi di raccolta degli agrumi, si affidano ai caporali per andare a raccogliere le arance tra Palagonia e Scordia. Basta fare poi qualche decina di chilometri per arrivare nelle campagne di Adrano e Paternò per trovarne altri. Altro business di migranti, caporali e sfruttatori.

A Catania gli irregolari sono il doppio dei regolari.

Nelle sola provincia di Catania ci sono 4500 lavoratori irregolari, gli stagionali stranieri con le carte a posto sono invece 2850. In mezzo ai campi ci sono soprattutto romeni disponibili a guadagnare 25 euro per 9 ore di lavoro, rispetto alle circa 50 euro previste dal contratto nazionale. Ma molti lavorano a cottimo per la miseria di 3 euro a cassa. Nel ragusano sono più di 26 mila i braccianti, la metà stranieri. Nelle campagne tra Vittoria e Acate centinaia e centinaia di braccianti stranieri dormono in piccoli ruderi fatiscenti. Alle prime ore del mattina il caporale li porta nelle serre dove per una giornata di lavoro arrivano a guadagnare 30 euro. A fare da intermediario, spesso, è un romeno che in cambio di una cifra una tantum procura un posto di lavoro e si preoccupa del trasporto e dell’alloggio che alla fine pagano sempre i braccianti infatti dai 30 euro si devono detrarre spesso 2 o 3 euro per il trasporto.