cronaca

Il Senato vota: “niente immunità per il 5 stelle Giarrusso”

Mario Michele Giarrusso, senatore 5 stelle, affronterà il giudizio che lo vede indagato per diffamazione senza l’immunità riservata ai parlamentari. L’Aula di Palazzo Madama, con 159 sì, 75 no e 4 astenuti, ha infatti accolto la proposta della Giunta per le Immunità, presieduta da Dario Stefano (Misto), di considerare sindacabile Giarrusso. Il parlamentare catanese è stato querelato da una deputata del Pd, Maria Gaetana Greco, da lui accusata di “contiguità con ambienti mafiosi”.
Il relatore Andrea Augello (Cor), ha ricordato in Aula che «Giarrusso sin dall’inizio dei lavori della Giunta aveva sostenuto di aver pronunciato quelle frasi» contro l’esponente del Pd «nell’esercizio del suo mandato di parlamentare. Tesi sostenuta in ben due memorie difensive». Inizialmente il senatore avrebbe dunque pensato di godere dell’immunità. «Poi ci ha ripensato – ha sottolineato Lucio Malan (FI) – e questo è legittimo», chiedendo di essere giudicato sindacabile. Così l’Aula ha votato a voto palese, nonostante Enrico Buemi (Psi) e Mario Ferrara (Gal) avessero chiesto quello segreto, la sindacabilità di Giarrusso con l’assenso di tutto il gruppo M5S.

 

La storia dall’inizio

Il Post ha ripercoso la storia della vicenda. Il 16 maggio 2015, due settimane prima delle elezioni amministrative, il senatore Giarrusso del M5S tenne un comizio elettorale ad Agira in provincia di Enna. Durante il suo discorso, Giarrusso si rivolse in diverse occasioni ad alcune persone che si trovavano sul balcone del circolo locale del PD, a pochi metri dal palco, dove c’era anche appeso un manifesto elettorale a sostegno di Maria Greco, candidata del PD a sindaco di Agira. Tra le altre cose, Giarrusso definì quelle persone «padroni» e «potenti», e le accusò implicitamente di rubare e operare solo per interessi personali.

Dopo il comizio, Giarrusso pubblicò sul blog di Beppe Grillo un commento alla serata, con questo titolo: «Ombre mafiose nella campagna elettorale del PD di Enna. Il comizio del M5S nel Comune di Agira (Enna) è stato seguito non solo da semplici cittadini ma anche da osservatori molto “qualificati”». Giarrusso scrisse:

«Nel balcone accanto al palco ad Agira, infatti, erano presenti Mirello Crisafulli (candidato sindaco di Enna del Pd e intercettato nel 2008 dai Carabinieri mentre in un albergo di Enna discuteva di appalti con un capo mafia), l’eurodeputata del Pd Michela Giuffrida e il candidato sindaco del Pd deputato Maria Greco. Accanto a loro, infatti, sullo stesso balcone, era platealmente visibile il Sig. Giuseppe Giannetto (tesserato del Pd) arrestato nel 2005 mentre cenava in un casolare di campagna e discuteva di affari con il boss Giuseppe Di Fazio, reggente della famiglia mafiosa Santapaola, inserito nell’elenco dei 30 più pericolosi latitanti di mafia e condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ispettore di Polizia Lizio.»

Giarrusso sosteneva che la campagna elettorale nella provincia di Enna fosse «seriamente inquinata e compromessa dalla mafia» e che «è inammissibile e intollerabile che nel 2015 sia ancora possibile esibire in maniera così plateale comportamenti e soggetti denotanti contiguità con ambienti mafiosi, per di più in una campagna elettorale». Giarrusso chiedeva anche al segretario del PD Matteo Renzi di intervenire e ritirare le candidature del PD sia ad Enna che ad Agira. Non se ne fece nulla, ovviamente, e alle elezioni Greco fu eletta sindaco di Agira.

Crisafulli – storico esponente del PD ennese che non fu ricandidato dal suo partito alle ultime elezioni politiche per essere stato inserito tra i cosiddetti “impresentabili” per ragioni giudiziarie – smentì di essere stato su quel palco ad Agira. Giannetto, un dipendente comunale, aveva delle condanne a suo carico (porto illegale di armi e favoreggiamento) ma nessuna per reati di mafia. Dopo le accuse di Giarrusso, Greco presentò contro di lui una denuncia per diffamazione aggravata. LEspresso ha scritto che nella sua memoria difensiva Giarrusso ha chiesto l’archiviazione, oppure che le sue parole siano ritenute insindacabili perché espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari.

 

 

v.b.

 

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Redazione Moralizzatore

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