Tolleranza zero per i mafiosi condannati all’ergastolo e pene più alte per il voto di scambio. Questa è la nostra “linea guida” in merito alle riforme di natura penale in atto. Per quanto riguarda l’esclusione dei benefici a condannati per mafia, la norma verrà votata nei prossimi giorni in Senato, anche se è già stata definita nella Camera dei Deputati. La disposizione, nell’ambito dei criteri e principi di delega al governo per la revisione delle preclusioni dei benefici penitenziari per i condannati all’ergastolo, esclude espressamente i casi di eccezionale gravità e pericolosità che il decreto d’attuazione dovrà puntualmente indicare e tutte le condanne per mafia e terrorismo.
In questo contesto, per quel poco di esperienza teorica acquisita in oltre vent’anni di studi e ricerche in materia di criminalità organizzata, ci chiediamo: perché non utilizzare in questa riforma in corso i lavori della Commissione Gratteri? La Commissione propone a ragion veduta l’inasprimento delle pene per i reati previsti dall’articolo 416 bis. Con particolare riferimento ai boss che guidano i clan, spesso condannati per il solo reato associativo. Il risultato irragionevole è che tornano in libertà dopo pochi anni.
La proposta è di innalzare le pene a non meno di dodici anni, paragonandole a quelle previste per i narcotrafficanti. Non solo: la Commissione ha proposto anche di rivedere il reato di voto di scambio politico-mafioso, anche qui con un inasprimento della pena, che non deve essere inferiore ai dieci anni. L’intento è quello di colpire i piani alti delle mafie, cercando di recidere il legame con la politica. Le nuove norme prevedono la confisca obbligatoria dei guadagni frutto del malaffare. Anche per i condannati per il reato di autoriciclaggio. Vengono proposte anche nuove regole per la prescrizione. Dopo la sentenza di primo grado, il reato non potrà più estinguersi. La Commissione Gratteri ha anche lavorato ad una riforma dello strumento delle intercettazioni, prevedendo la possibilità di prolungarne la durata, con l’adeguamento alle nuove tecnologie, e inserendo anche una stretta sulle pubblicazioni.
Sul fronte delle indagini, viene proposta una più stretta collaborazione tra polizia giudiziaria e servizi segreti, e l’utilizzo di infiltrati delle forze dell’ordine nelle cosche. Anche nelle inchieste sulla corruzione nella pubblica amministrazione. In questo quadro, la polizia penitenziaria non dipenderà più dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ma dal Ministero della Giustizia e si occuperà in via esclusiva di pentiti e collaboratori di giustizia.
Nel documento è prevista anche una riforma dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, che nel progetto della Commissione dovrà avere una sede unica a Roma. Oggi l’agenzia ha ben cinque sedi. A guidarla, secondo la Commissione, dovrebbe essere un manager con l’aiuto di un personale specializzato, selezionato con concorsi pubblici. In modo da evitare, come avviene oggi, il fallimento delle aziende confiscate. Perché non si sono utilizzati questi lavori magari inserendoli nel disegno di legge in discussione in Parlamento? Ai posteri l’ardua sentenza!
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