Processo “Iblis”, per politica e mafia arrivano le condanne in appello tra sconti e assoluzioni
E’ arrivata mercoledì 28 settembre la sentenza in Corte d’Appello del processo “Iblis”, che ha visto come protagonisti, tra gli altri, Rosario Di Dio, Vincenzo Aiello, Vincenzo Saragone e Fausto Fagone, ex deputato regionale.
L’operazione “Iblis” – che in arabo che significa “diavolo” o “satana” e rappresenta il Male, ciò che è estraneo ad Allah, e in questo caso sta ad indicare la Mafia come il Male della società – è scattata nel Novembre 2010 e terminata nell’Aprile 2011 con un maxi blitz tra Sicilia, Toscana, Emilia Romagna, Lazio e Friuli Venezia Giulia. L’indagine, sviluppatasi per più filoni e concentratasi prevalentemente sulla cosiddetta “area grigia”, termine utilizzato per indicare la collusione tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata, ha portato alla condanna di 22 imputati, per un totale di 270 anni di carcere.
Rosario Di Dio, presunto boss di Cosa Nostra, condannato in primo grado a 20 anni nel giugno 2014 per estorsione e associazione mafiosa, ha visto ridimensionata la sua pena a soli 14 anni; i pm giustificano questa riduzione come incentivo per “fattiva collaborazione”. Sembra infatti che durante gli interrogatori dei magistrati del carcere di Novara – dove ancora sconta il 41bis – l’ex sindaco di Castel di Iudica (CT), abbia deciso di collaborare spontaneamente con la giustizia, premettendo “non sono un pentito” e dichiarando “Ammetto le mie colpe, ma non ritengo di aver mai ricoperto il ruolo di vertice”. Tra parole dette e non dette, risposte non date e innumerevoli contraddizioni, mostra anche la volontà di cambiare vita “magari fuori dalla Sicilia”.
Dai colloqui emerge il nome di Raffaele Lombardo, ex governatore della Regione Sicilia, condannato in primo grado con rito abbreviato per concorso esterno in associazione mafiosa assieme al fratello Angelo e incastrato anche grazie ad alcune intercettazioni telefoniche di natura ambientale tenute con il boss di Cosa Nostra Vincenzo Aiello, il quale ha visto il ridimensionamento della pena da 22 anni a 9, seppur confermata la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici, con cui si spartiva il controllo su Catania e paesi attigui, in base a quanto emerge dal racconto del pentito Santo La Causa.
Confermati invece i 18 anni di carcere per il giovane Vincenzo Santapaola, noto come Enzuccio o Enzu ‘u nicu (il
piccolo), primogenito del boss catanese Benedetto (Nitto) e oggi recluso a Rebibbia in cui sconta anche la pena di 8 anni inflittagli in seguito all’inchiesta Orione, per traffico e spaccio di stupefacenti. Secondo i magistrati, già dal 2005, Santapaola junior aveva preso il posto del padre in qualità di vertice: era lui a prendere le decisioni, ma sempre protetto da altri “uomini d’onore” così da riconoscergli l’appellativo di ‘u fantasma. Il suo nome appare, infatti, poco e nulla nelle oltre 80mila pagine dell’inchiesta e viene assolto anche nel processo “Orsa Maggiore” del 1993, che ha fatto luce sull’omicidio del giornalista Pippo Fava e simili ordinati da Santapaola senior per consolidare il dominio della famiglia sul catanese.
Confermata anche la pena di 12 anni per Fausto Fagone, ex sindaco di Palagonia (CT) e deputato regionale all’Assemblea siciliana, legato ai Santapaola, con le accuse di “simbiosi criminale”, “appoggio elettorale in cambio della disponibilità incondizionata politica e amministrativa” e “rapporto stabile e seriale”. “Si ritiene assolutamente dimostrato che Fagone – scrive il collegio presieduto dal giudice Rosario Grasso – strumentalizzava le sue cariche pubbliche modulando l’attività della pubblica amministrazione in funzione del perseguimento degli interessi illeciti del clan”.
L’unica assoluzione riguarda l’imprenditore Santo Massimino, condannato in primo grado a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex Presidente dell’Acireale Calcio era accusato di fare da collante tra il mondo della mafia e quello imprenditoriale, mettendo a disposizione la sua attività per il clan dei Santapaola e per Vincenzo Aiello che, si giustifica “conoscevo soltanto come geometra perbene”. In corte d’Appello Massimino è stato ritenuto innocente ed estraneo ai fatti e ha visto la restituzione dei beni – un patrimonio di quasi 26milioni di euro – che gli erano stati precedentemente confiscati.