Giustizia, braccialetti elettronici insufficienti e carceri sovraffollate

Pensati per ridurre il problema del sovraffollamento, realizzati a norma dell’art 275 bis c.p.p. (Codice di Procedura Penale), i braccialetti elettronici sono dispositivi di controllo che vengono allacciati alla caviglia dei detenuti sottoposti alla misura degli arresti domiciliari, direttamente collegati, tramite sistema GPS, ad un’Unità di Sorveglianza Locale (SMU) installata presso l’abitazione del soggetto stabilendo un determinato perimetro, oltrepassato il quale scatta immediatamente un allarme che avverte la Centrale Operativa delle Forze dell’Ordine.

Accanto ad una teoria tanto dettagliata vi è, in antitesi, una pratica altrettanto scarna. Di fatti -fa sapere la stessa Telecom- sono solo 2.000 i braccialetti momentaneamente attivi, in Italia, a fronte degli oltre 23mila presenti in Gran Bretagna. Tra i Grandi d’Europa, l’Italia è infatti ancora una volta all’ultimo posto per percentuale di condannati in misure alternative al carcere: 44,8% contro il 52,02% della Spagna, 63,67% Inghilterra e Galles e oltre il 70% di Francia e Germania [fonte: blog.openpolis.it].

Nel ragusano, quattro detenuti che il 24 ottobre scorso sarebbero dovuti uscire dal carcere per scontare la loro pena ai domiciliari, non hanno ottenuto la convalida dal Gip per effettiva mancanza dei sopracitati braccialetti elettronici, dovendo quindi rimanere in carcere. È il caso di Gaetano Pepi, 70 anni, reo confesso dell’omicidio di Giuseppe Dezio, 64, per cui sono stati indagati anche i figli Antonino, Alessandro e Marco, rispettivamente di 42, 38 e 26. Il loro avvocato – Giuseppe Lipera – ha fatto ricorso al Riesame di Catania, vedendo respinta la richiesta, per i suoi assistiti, dei domiciliari senza braccialetti.

Fallito anche il piano del quarto governo Berlusconi di allargare gli istituti penitenziari già esistenti e di costruirne di nuovi: i posti letto sono aumentati solo di 4.415 unità a fronte dei 12mila previsti. Il sovraffollamento, nella penisola, oggi si attesta attorno al 108%. Meglio rispetto al passato, ma il problema persiste.

Cavilli burocratici insomma che rischiano di bloccare e rallentare la Giustizia italiana, che già fatica a stare al passo di quella dei cugini europei.