Professori, mezzi professori o professoricchi e quaquaraquà: il “barone” dell’ateneo

Io ho una certa pratica del mondo, e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…

Questo è ciò che dice il mafioso don Mariano al capitano dei Carabinieri Bellodi protagonisti de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, romanzo del 1961. Il titolo è tratto dall’Enrico VI di Shakespeare, il cui passo fa da epigrafe al romanzo: Come la civetta quando di giorno compare. La sostanza di entrambi i brani è che la mafia, che in passato operava in segreto, come la civetta che è un animale notturno, ora agisce in piena luce, anche grazie a complicità politiche.

Arrivo al dunque. C’è una realtà, che molti abbiamo attraversato da frequentatori-studenti, dove il potere fa gola a chi gli viene dato per legge. Diceva un personaggio che ha imperversato in lungo e in largo nella politica italiana che “il potere logora a chi non ce l’ha” e nel suo crudo sarcasmo, come a calpestare le persone che il potere per ideologia non lo vogliono o come altri che sono sfortunatamente disoccupati e quindi non lo possono avere, come il mafioso de “Il giorno della civetta”, aveva ragione. La realtà si chiama “Università” (o istituzioni post-universitarie) dove tutti sanno ma non dicono, dove si fa fatica a dire che i proverbi che la mafia ha messo in giro collimano perfettamente con tali istituzioni non mafiose, ad esempio, “cu è surdu orbu e taci, campa cent’anni ‘mpaci”. Ovviamente non generalizzo ma la realtà questa è da sempre e questa è rimasta. Spiego.

Tutti sanno che la maggioranza dei docenti di ateneo sono delle grandi e brave persone, che sprizzano il loro “sapere” da tutti i pori, che hanno professionalità da vendere e sono socialmente predisposti ad un rapporto empatico, di disposizione, di affetto, di attenzione verso i propri studenti i quali, certamente, ne ripagano l’afflato, studiando, chiedendo e cercandolo, facendone di lui o lei un punto di riferimento di conoscenza ma anche di vita. Ecco, questi sono quei docenti che si possono chiamare senza ombra di dubbio PROFESSORI, perché secondo la cultura greca è questa l’antica figura paragonabile al MAGISTER.

Ci sono poi quei docenti universitari, che, anche lì, risultando in una percentuale relativamente alta, moderatamente preparata, che magari sono entrati a far parte di tale istituzione per un colpo di fortuna o per un colpo sul sedere o perché figlio di… che spesso palesemente galleggiano nelle pastoie della loro materia, che alle domande degli studenti si trovano sempre in un misero imbarazzo, che stanno “lì in mezzo”, costretti tra coloro che sono seri, sanno e conoscono il loro mestiere e coloro che magari sanno la loro materia e che però conoscono tutte le strategie con la quale esercitarne il potere. Ecco, questi sono i MEZZI PROFESSORI o PROFESSORICCHI, sorta di gente di mezzo, che in ateneo fa poca storia.

Infine esiste poi la categoria più miserabile: quella dei “baroni”. Generalmente maschi, è gente a cui interessa ben poco la didattica (o fanno finta che gli interessi), gente a cui non diletta il rapporto emozionale con i propri studenti, anzi, a volte li usa, gli interessano molto spesso alcune scelte studentesse, gente che attua spesso strategie della tensione per coprire le proprie falle, gente di cui molti hanno paura e che reggono le fila di una università che tocca il fondo quando questi fanno valere il proprio potere. Gente che raccomanda, che viaggia a scambi di favori, capaci di far naufragare i migliori studenti a scapito di chi gli fa da lacchè, di chi copre le sue malefatte, di chi arriva a beceri compromessi. Questi sono i QUAQUARAQUA’, che sanno trovare la maniera di aumentarsi la loro busta paga inventandosi progetti o fantomatici viaggi, che abusano in valutazioni e corpi, che sanno accorciare o prolungare all’infinito i tempi del passaggio della propria materia, che giocano a delegittimare la preparazione e la dignità altrui attraverso false e improbabili verifiche, che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, perché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… (cit. don Mariano da “Il giorno della civetta”). Ma l’aspetto peggiore di questa realtà, sapete qual è? E’ che tutto questo lo sanno tutti, ma tutti devono far finta di non sapere perché ciò che si vede sta nella legge, ciò che non si vede è difficilmente provabile.

“Cu è surdu, orbu e taci, campa cent’anni ‘mpaci” e se così sarà ancora per il futuro, alle parole di don Mariano e della mafia, purtroppo ci spetta solo inchinarci.