Mafia, malaffare e informazione: Giovani giornalisti zittiti a forza di querele
Oggi è il 5 gennaio e si ricorda, come giusto e doveroso che sia, l’uccisione per mano mafiosa del giornalista Giuseppe Fava. Devo dirvi la verità, ogni anno su un giornale piuttosto che un altro ho scritto in questa data un articolo che riguardasse Fava, lo stato dell’informazione, la politica collusa, la mafia e il malaffare. Rileggendo tutti gli articoli però una cosa manca, manca il presente. Cosa fa l’informazione oggi, come sta e dove vuole andare? Chi sono i nuovi cani da guardia della democrazia?
In questi giorni il dibattito sollevato da Grillo su giurie popolari per le balle di tv e giornali mi ha fatto pensare ulteriormente. Oggi, io come molti miei colleghi, almeno una volta siamo stati imbavagliati dal malaffare, da personaggi che seppur non definitivamente condannati o formalmente accusati di reati, sono molto discutibili. Come lo hanno fatto? Non hanno sparato, per fortuna, ma hanno preso carta e penna, hanno chiamato i loro avvocati e hanno scritto querele verso giovani giornalisti temerari che magari volevano semplicemente informare l’opinione pubblica, magari la volevano risvegliare.
Allora quando vieni pagato 7 euro lordi a pezzo, se tutto va bene, una querela diventa un’ipoteca sulla casa, anche se poi la vinci e tutto finisce dopo qualche anno nel silenzio totale. A poco servono i primi attestati di solidarietà se poi dopo qualche mese alle udienze sei solo tu e il tuo avvocato e pensi “lo stronzo non sono io che deve essere processato ma lui”. Non nascondo che la voglia di ritirarsi è sempre più grande e forse piano piano lo sto già facendo. Perché in fondo forse, se continua così, hanno vinto loro.