Un omicidio ai tempi del fascismo. Il libro inchiesta di Fernando Adonia
L’autore è Fernando Massimo Adonia (Catania, 1982). Giornalista, scrive su LiveSicilia.it, il periodico d’inchiesta S, il pensatoio Barbadillo.it, dirige Paesi Etnei Oggi. È autore di Julius Evola. Un pensiero per l’età oscura (Tipheret, 2014). Con Gaetano Zito ha curato «Vengo a confermarvi nella fede». La visita di Giovanni Paolo II a Catania a 20 dall’evento e a 10 dalla morte (Edizioni Arcidiocesi di Catania, 2016). Per Eclettica ha inoltre curato l’e-book Francesco Anno Primo (2014) e firmato l’introduzione al romanzo di Luigi Pulvirenti e Michele Spampinato Quando saremo tutti nella Nord (2015).
La piazza catanese è il teatro dello scontro quasi quarantennale tra l’area che fa capo al sindaco Peppino de Felice Giuffrida, il “Viceré socialista”, e la famiglia Carnazza. All’alba della cosiddetta rivoluzione fascista, tra le due consorterie arriva la resa dei conti. In quel frangente i carnazziani giocano d’anticipo su tutto e tutti, riuscendo a ottenere la nomina di Gabriello a ministro dei Lavori Pubblici, e la gestione di fatto del Pnf etneo. I Carnazza non sono fascisti, militano in Democrazia Sociale, formazione tendenzialmente di centrosinistra, ma di lì a breve lanceranno un’opa sul partito con la benedizione del duce in persona. Nonostante la propaganda, il fascio catanese ha una classe dirigente debole, “priva di qualsiasi autorevolezza”, e non riesce a resistere alle pressioni e agli eventi. In molti vogliono salire sul carro del vincitore e ci riescono, anche tra chi si dichiarava ufficialmente antifascista.
Pure sul fronte interno il fascio locale deve fare i conti con le invidie dei propri leader. Sorprenderà, ma ci sono una destra e una sinistra nel Pnf catanese, che giocano al gatto e al topo. La sera del 31 ottobre, il giorno in cui la Marcia su Roma approda a Catania, il segretario provinciale rassegna le dimissione. Un fatto insolito che si spiega con le ragioni di una rivoltella puntata in faccia. Quell’episodio avrà ovviamente delle conseguenze: inchieste interne, scontri di piazza, la nascita di un fascio fuori dal Pnf con un decalogo fatto di sicilianismo e diritti del lavoro, bastonature e olio di ricino. Altro che partito monolitico, all’indomani della marcia su Roma, il partito va in frantumi.
E se la sinistra interna piange, la destra non ride. La penetrazione dei Carnazza mette il gruppo di Giovanni Ferro alle corde. Nasce una contesa scandita da colpi di scena: il blocco del tesseramento, il continuo azzeramento della segretaria, assemblee finite a cazzotti, tranelli e la bocciatura del candidato del duce alle primarie per la segreteria provinciale. Più di tutti, però, vale un episodio che metterà in ginocchio il capoluogo etneo: ovvero la Marcia su Catania. Quando sta per essere celebrata la fusione tra Pnf e Associazioni nazionalisti, la vecchia guardia fascista si oppone con forza. La via Etnea è sotto l’assedio di mille squadristi armati provenienti da tutta la Sicilia Orientale. I carabinieri e la polizia sono nel panico e deve intervenire la Milizia da Siracusa per fermarli. Insomma, i fascisti dovranno puntare i fucili contro altri fascisti. Episodio che la dice lunga sulla tenuta del governo di Benito Mussolini e sui proclami di pacificazione espressi in quelle ore. Ma l’insubordinazione del fascio catanese alle direttive del duce non finisce lì, tant’è che lui stesso dovrà prima mordere la foglia e poi reagire con precisione chirurgica.
La morte di Carlo Amato, il main theme di “Presente!”, permette di raccontare questo e altro. Non solo la crisi del fascio siciliano, ma anche l’ascesa e la caduta – a quanto pare per il coinvolgimento nel caso Matteotti – del ministro Gabriello Carnazza, una Catania scomparsa, ma logiche fin troppo uguali nel tempo. Proprio attorno al nome di Carlo Amato, martire della Rivoluzione, saranno intitolate vie, scuole, squadre sportive, altari, manifestazioni imponenti e altro, il tutto con una logica religiosa che sfida apertamente la chiesa cattolica. Il suo corpo oggi riposa nella monumentale Chiesa di San Nicolò l’Arena, mentre una grande lapide col suo nome resta lì intatta sopra l’ingresso dell’istituto Agatino Malerba, a Picanello. Attorno al suo nome il Regime costruì un mito, ma sulle reali cause che portarono alla sua morte tutto fu insabbiato. Quanto accadde davvero il 2 novembre è nelle carte riservate del Ministero dell’Interno. E quanto riaffiora può risultare davvero imbarazzate un po’per tutte le forze in campo di ieri e dell’altro ieri.