La storia che vi raccontiamo mette in risalto l’incredibile assurdità della giustizia italiana che valuta più importante una virgola rispetto al reato perpetrato. Noi oggi faremo nomi e cognomi degli interpreti di questo scandalo, specificando che tutti i dati pubblicati sono stati prelevati da atti pubblici e ufficiali della Magistratura
Queste parole, apparse stamattina sulla pagina Facebook “Pa-Press/a“, introducono il racconto di una vicenda raccapricciante. Ecco cosa è successo ai malcapitati dipendenti dell’Ex Gruppo Parlamentare di Alleanza Nazionale all’Ars.
Nel lontano 2008 Salvino Caputo era Presidente del gruppo parlamentare di AN (quindi, con potere di firma). Con l’avvicinarsi delle elezioni regonali, Caputo preleva da un conto riservato e bloccato tutto il TFR versato dal Gruppo nell’arco degli ultimi vent’anni, stornando più di 150 mila euro su un conto di cui ha piena disponibilità. Indisturbato, Caputo utilizzerà la cospicua somma di denaro per pagare la propria campagna elettorale.
IL DIAVOLO FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI
A distanza di qualche anno, nel 2011, accade che un dipendente richiede l’anticipo del TFR. È in questa occasione che il malcapitato scopre che il proprio conto è vuoto: non c’è neanche un centesimo!
Per un anno i lavoratori provano a rivolgersi all’avvocato Caputo “con le buone”, cercando così di riottenere i propri soldi. Purtroppo, ogni tentativo sarà vano.
Nel 2013 l’On. Caputo viene condannato in via definitiva per tentato abuso di potere in qualità di sindaco di Monreale e, sempre nello stesso anno, il Giudice del Lavoro di Palermo riconosce la responsabilità di Caputo, imponendogli l’immediata restituzione ai lavoratori di quanto agguantato illegalmente. Emessi i relativi decreti ingiuntivi, Caputo presenta il ricorso in appello.
OLTRE AL DANNO LA BEFFA
Tra il 2013 e il 2014 i lavoratori provano a riottenere i propri soldi. Caputo risulta, però, nullatenente. Nel 2015 la Corte d’Appello sezione Lavoro, con presidente Fabio Civiletti, stabilisce che la denuncia è stata presentata oltre i sei mesi previsti dalla legge: i lavoratori avevano esposto denuncia nel 2012 per un reato commesso nel 2008. La Corte accetta il ricorso di Salvino Caputo, annullando la sentenza di primo grado.
Nel 2015 i lavoratori ricorrono in Cassazione, perché “giudicano scandalosa la sentenza della Corte d’Appello di Palermo“.
E il 2 gennaio 2017 i Giudici della Cassazione rigettano il ricorso.
La sentenza che ha assolto Caputo ha legalizzato un furto
Abbiamo raggiunto Salvo Coppolino, portavoce degli sventurati lavoratori coinvolti in questa vicenda
È tutta la verità non ho aggiunto nulla. Noi abbiamo subito un furto, un’appropriazione indebita. Io personalmente ho perso ventimila euro. C’è chi ne ha persi cinquantamila, sessantamila. Venti anni di TFR depositato sono soldi. Sono soldi nostri, che venivano trattenuti dallo stipendio e versati sul conto. Siamo andati in causa in sei, ma eravamo circa sedici persone. Qualcuno non nutriva alcuna speranza
Coppolino racconta i fatti per poi concentrarsi sulla sentenza, svelando un dettaglio non di poco conto:
“La sentenza d’appello, che sta alla base di tutta l’assoluzione di Caputo, parte da un presupposto: il Giudice ha detto che la denuncia doveva essere fatta entro sei mesi. Ma c’è una sentenza successiva, che il Giudice ha volutamente dimenticato di citare, che stabiliva che nel caso specifico del TFR i sei mesi non decorrono dalla data del reato, bensì dalla data in cui il lavoratore si è accorto dell’ammanco. Il tfr non è un conto controllato dal lavoratore tutte le mattine. Il lavoratore scopre che qualcosa non va nel momento in cui gli serve qualche cosa. Il nostro collega, che nel 2011 necessitava di un anticipo del tfr, pensava di trovare in banca qualcosa come 40 mila euro e ha scoperto che invece non c’era un centesimo versato. Da qui è nata un’indagine interna, grazie alla quale abbiamo scoperto quanto accaduto”.
Salvo Coppolino racconta anche di quei tentativi amichevoli fatti per avere risposte da Caputo:
“Abbiamo mandato tutta una serie di lettere amichevoli di cui siamo in possesso. A tutte queste lettere amichevoli il Caputo non ha mai risposto“.
E ricorda le parole del Giudice su quanto commesso da Caputo:
Durante la prima causa il Giudice disse all’avvocato del Caputo: dica al suo cliente, che è avvocato, che si dovrebbe vergognare di quello che ha fatto. Sia perché è avvocato sia perché era il responsabile di questi soldi .
Il giudice emette i decreti ingiuntivi, con cui i lavoratori riescono a sbloccare l’unica somma di denaro che Caputo non aveva avuto modo di toccare: soldi che avanzavano dall’Assemblea regionale. Questi soldi sono stati bloccati, l’Assemblea Regionale li ha girati all’avvocato e l’avvocato ha pagato una collega che aveva la precedenza sugli altri. Quindi lei è stata salvata, ma per gli altri non c’erano più soldi.
“ERA UN AMICO”
“La nostra unica colpa- prosegue Coppolino– è stata quella di non averlo citato per via penale, perché avremmo dovuto denunciarlo penalmente. Non l’abbiamo fatto perché non abbiamo voluto comprometterlo ulteriormente, tenendo conto che Caputo aveva già alle spalle una condanna per abuso di ufficio. Ma se lo avessimo denunciato anche penalmente le cose sarebbero andate diversamente“.
E mentre il gruppo di lavoratori sta cercando una soluzione per risolvere questo enorme problema, Coppolino racconta che Caputo sarà tra i prossimi candidati alle Regionali.
Nel 2012, Caputo si era presentato alle Regionali . Uscì un articolo su Live Sicilia, che raccontava la nostra vicenda. Ai tempi non c’era nulla, non c’erano sentenze. Caputo, terrorizzato, per preservare la propria candidatura mi chiese di non pubblicare nulla su internet. Quella volta fu eletto.
Questa volta dico che la gente non può non conoscere la realtà. Tutti devono sapere.
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