Nell’ambito dell’operazione denominata “RAMBO”, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, con il coordinamento del Comando Regionale Toscana, e funzionari dell’Agenzia delle Dogane labronica, il 7 febbraio u.s., hanno eseguito – dando corso a 15 perquisizioni tra abitazioni, sedi societarie ed uno studio commercialistico, dislocate tra Toscana, Trentino Alto Adige, Campania ed Emilia Romagna – l’ordinanza, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Livorno, Dott. Antonio Pirato, di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di due imprenditori livornesi e di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di ulteriori due persone (sempre residenti a Livorno), per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale.
Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta individuale operante a Livorno nel settore della vendita di prodotti informatici e hanno fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata ad evadere l’Erario, riconducibile al dominus livornese, M.B., destinatario, insieme al suo “braccio destro”, E.M., di custodia cautelare domiciliare. Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, invece, a carico dei due formali rappresentanti legali delle società di comodo (di fatto amministrate da M.B.), tali F.B. e M.F., rei di aver sistematicamente emesso fatture per operazioni inesistenti a 3 imprese delle province di Bolzano ed Avellino.
Le attività svolte dagli Organi inquirenti, dirette personalmente dal Procuratore della Repubblica, Cons. Ettore Squillace Greco e dai Sost. Proc. Dott.ssa Arianna Ciavattini e Sabrina Carmazzi, hanno consentito di individuare, all’interno della menzionata associazione, 9 persone giuridiche (2 ditte individuali e 7 società), con un giro di fatture false, tra emesse ed utilizzate, pari a circa 60 milioni di euro.
Le investigazioni, iniziate nel 2015, hanno permesso di ascrivere l’ipotesi fraudolenta al sistema del “carosello fiscale”, attuato tramite triangolazioni fra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, nel settore del commercio dei prodotti elettronici (quali telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari, ecc.), destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web. Gli imprenditori, infatti, hanno appositamente costituito ditte individuali e società cd. “cartiere”, aventi sedi formali tra le province di Livorno, Pisa e Bologna, ma di fatto tutte gestite a Livorno. Le imprese, prive di struttura imprenditoriale, acquistavano ingenti quantità di prodotti hi-tech direttamente dai fornitori comunitari (francesi e tedeschi); in realtà la merce non veniva consegnata alle ditte che avevano effettuato l’ordine, ma direttamente agli effettivi destinatari, beneficiari della frode, N.K. e P.C. di Bolzano e E.M., imprenditrice avellinese. Le cartiere quindi, venivano interposte, facendo da filtro, nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e le società operative campana ed altoatesina, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi rivendevano sul territorio nazionale solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata ai destinatari, accollandosi, conseguentemente un debito I.V.A., che poi non versavano all’Erario.
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