Maxiprocesso a Cosa Nostra, il documentario (VIDEO)

Il Maxiprocesso di Palermo è lo storico processo contro Cosa Nostra che coinvolse 475 imputati per diversi capi d’accusa, tra cui quello di associazione a delinquere di stampo mafioso. Si svolse nell’Aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987.

Il processo è considerato la prima vera reazione dello Stato Italiano nei confronti della mafia siciliana. I membri di Cosa Nostra furono per la prima volta condannati in quanto appartenenti ad un’organizzazione mafiosa unitaria e di tipo verticistico.

Il processo fu possibile grazie alla nascita del cosiddetto Pool antimafia di Palermo, la cui direzione unitaria permise ai giudici che ne facevano parte di avere una visione completa del fenomeno della mafia siciliana, almeno al livello militare. Oltre all’accentramento delle indagini nelle mani di un gruppo di magistrati specializzati, l’altro elemento di forza del Maxiprocesso fu l’utilizzo dei pentitiin primis Tommaso Buscetta, poi Salvatore Contorno e altri collaboratori permisero di squarciare il velo dell’omertà che aveva garantito l’invisibilità di Cosa Nostra per decenni.

 

I pentiti

Il ruolo dei pentiti fu fondamentale per l’avvio delle indagini e per lo svolgersi del processo. Le loro dichiarazioni permisero una lettura innovativa dell’organizzazione Cosa nostra.

I pentiti furono 21, tra gli altri: Tommaso BuscettaSalvatore ContornoVincenzo SinagraStefano CalzettaSebastiano DattiloGennaro TottaKoh Bak KinRodolfo AzzoliSalvatore Di Marco.

Tommaso Buscetta

Tommaso Buscetta nell’aula bunker del Maxiprocesso

Tommaso Buscetta disegnò la struttura e il funzionamento di Cosa Nostra mostrando il fenomeno mafioso sotto una nuova luce. Il contributo più importante di Buscetta infatti “è consistito nell’aver offerto una chiave di lettura dei fatti di mafia, nell’aver consentito di guardare dall’interno le vicende dell’organizzazione[1]

Le dichiarazioni principali di Buscetta possono essere sintetizzate come segue:

  • Cosa nostra: I mafiosi riferendosi all’organizzazione non parlano di mafia ma di Cosa nostra. La vita dell’organizzazione è disciplinata da un rigido regolamento di natura orale e non scritta. Queste norme regolano anche l’ingresso di uomini nella struttura mafiosa. Cosa nostra è ormai strutturata in ogni provincia siciliana, ma il centro del potere dell’organizzazione è Palermo.
  • Suddivisione territoriale: La città di Palermo è organizzata in mandamenti: le famiglie prendono il nome dal mandamento a cui appartengono. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, le famiglie prendono il nome del paese in cui operano. Tre famiglie territorialmente limitrofe costituiscono un mandamento ed eleggono un solo rappresentante. I capi dei mandamenti palermitani e i rappresentanti dei mandamenti provinciali compongono la Commissione.
Dopo l’ascesa dei Corleonesi è nata la cosidetta Interprovinciale, che ha il compito di coordinare gli interessi di più province.
  • Commissione: La Commissione sovrintende, controlla e dispone il governo di Cosa Nostra. L’organismo ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra e risolvere le eventuali frizioni tra famiglie. Ad esempio, per ordinare un omicidio, il rappresentante di una famiglia deve rivolgersi al capo mandamento, il quale tratterà la questione in Commissione. Nel caso dell’omicidio di un capofamiglia, l’assassinio deve avvenire con il consenso della famiglia (oltre che della Commissione). In caso contrario sono quasi inevitabili gravi conseguenze per chi trasgredisce.
Mentre in origine la figura che controllava la Commissione era quella del Commissario, successivamente fu chiamato Capo
  • Famiglia: Ogni famiglia è una struttura a base territoriale con una costituzione gerarchica. Gli uomini d’onore o soldati sono organizzati in gruppi da dieci, le decine, ciascuna delle quali è coordinata da un capodecina. La famiglia è governata da un rappresentante con nomina elettiva. Il rappresentante è poi assistito da un vicecapo e da uno o più consiglieri.

Buscetta illustrò inoltre le dinamiche che hanno portato allo scatenarsi della Seconda Guerra di Mafia, con il prevalere dello schieramento corleonese sull’ala moderata di Cosa Nostra, ovvero quella rappresentata da Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo, che avevano comandato su Palermo fino a quegli anni.

Le dichiarazioni di Tommaso Buscetta furono confermate dai riscontri, anche se la descrizione che diede il pentito di alcuni avvenimenti fu accettata con qualche riserva. La visione dell’ascesa dei Corleonesi si basava infatti su uno spinto dualismo che mostra il punto di vista unilaterale del pentito. La contrapposizione tra buoni (i membri della mafia perdente) e cattivi (i Corleonesi) è chiaramente dettata dall’appartenenza di Buscetta al primo schieramento. Nonostante i tentativi di Buscetta di ridimensionare la ferocia dei membri della fazione perdente spacciandola per “ala moderata”, i boss sconfitti erano feroci assassini dall’alto spessore criminale.

Salvatore Contorno

Salvatore Contorno

Salvatore Contorno, detto “Coriolano della Floresta”, era un killer della famiglia di Santa Maria del Gesù, sopravvissuto ad un agguato dei killer dei corleonesi. Nel rapporto di Ninni Cassarà era stato chiamato “Fonte prima luce”. Fu definito dalla Corte d’Assise “pietra miliare del processo per quanto riguarda la conoscenza dell’organizzazione mafiosa, i suoi riti, i suoi personaggi: per la comprensione del fenomeno sopratutto nei suoi aspetti pratici.[2] In particolare Contorno descrisse accuratamente il funzionamento dei gruppi di fuoco dell’ala militare di Cosa nostra, proponendo un modello di analisi che si rivelò utile nella ricostruzione di molti omicidi. Le sue dichiarazioni contribuirono all’arresto di circa 160 persone.

Nelle dichiarazioni di Contorno sono però riscontrabili alcune differenze con quello che aveva affermato Tommaso Buscetta. In particolare per quanto riguarda la composizione della Cupola, Contorno incluse tra i membri anche personaggi come Benedetto SantapaolaMariano Agate e Leonardo Greco. La ricostruzione di Contorno fu ritenuta però meno attendibile di quella di Buscetta, dal momento che quest’ultimo, essendo di un prestigio ben maggiore, aveva una conoscenza approfondita e in prima persona dei piani più alti dell’organizzazione.

Vincenzo Sinagra

Questo individuo grigio, rozzo, indotto, disarmante nella sua ingenuità elementare, carente in modo assoluto di doti particolari e di sagacia e di furbizia, assurge tuttavia ad esempio di elevatezza morale e di civismo concreto, cedendo d’improvviso, in una sublime catarsi autopunitiva, all’impulso irrefrenabile di rigurgitare tutti i tremendi delitti di cui è stato spettatore e partecipe[2]

Vincenzo Sinagra fu un collaboratore fondamentale per la sua conoscenza di crimini e omicidi efferati. Egli era stato un killer della famiglia di Corso dei Mille. Le sue dichiarazioni, confermate da numerosi riscontri oggettivi, portarono al chiarimento delle dinamiche legate a numerosi fatti di mafia. Grazie alla sua testimonianza, ad esempio, fu scoperta la “camera della morte” di Piazza Sant’Erasmo: il luogo dove gli uomini del clan Marchese, egemone a Corso dei Mille, torturavano e uccidevano le loro vittime.

Stefano Calzetta

Stefano Calzetta fu un utile collaboratore, nonostante alcune riserve di cui si volle tener conto nel valutare le sue dichiarazioni. Furono considerate attendibili infatti solo le narrazioni di fatti di cui era stato testimone. Inoltre, i continui ripensamenti sul suo pentimento (si finse pazzo e disse di aver avuto un’amnesia) e sulle dichiarazioni, furono un altro elemento che indusse la Corte ad agire con prudenza. Calzetta inoltre non era affiliato ufficialmente a Cosa nostra, infatti al Maxiprocesso fu assolto per insufficienza di prove in merito all’accusa di 416bis.

Le origini della sua collaborazione con la giustizia sono probabilmente da ricercare nel timore di essere ucciso, dal momento che Calzetta aveva parlato del ruolo di Mario Prestifilippo nella Strage di via Isidoro Carini.