cronaca

Cartello di Sinaloa, la guerra dei narcos per prendere il posto di el Chapo

Adesso che con la sua estradizione in America la leggenda del “Chapo” Guzman è davvero al tramonto, non pensare che tra le sue maledette sfortune, dopo l’intervista con Sean Penn che lo fece catturare all’inizio del 2016 per la terza volta, ci sia anche Donald Trump. La decisione di estradare quello che per molto tempo è stato considerato il più grande “signore della droga” del Messico, Drug lord e Supercapo del potentissimo Cartello narcos di Sinaloa, precede di poche ore l’insediamento del nuovo presidente americano.

E ha tutto il sapore di un regalo, di un dono messicano al nuovo vicino del Nord visto che, proprio su una svolta nelle relazioni con il Messico, Trump ha centrato gran parte della sua campagna elettorale e del suo trionfo. Quel Messico che – dice Trump – non solo riempie gli Stati Uniti di migranti illegali e di cocaina ma che con la delocalizzazione industriale toglie anche posti di lavoro agli americani.

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Difficile così non pensare che dietro alla consegna del Chapo – uno degli uomini più ricchi del mondo, al 41esimo posto nella lista dei miliardari di Forbes – non ci sia la mano del nuovo ministro degli esteri messicano, Luis Videgaray. Infatti di fronte alle minacce di Trump, dal Muro lungo la frontiera ai dazi contro le multinazionali Usa che producono in Messico, dopo lo sconcerto iniziale il governo di Peña Nieto ha scelto la diplomazia dell’amicizia. Videgaray è un amico di Trump, o meglio è un sodale di uno dei consiglieri più vicini al neo presidente, ossia suo genero Jared Kushner, il marito della figlia Yvanka.

Dopo la morte di Bin Laden nel 2011, Joaquín Guzman Loera, “el Chapo” (il piccoletto), 60 anni, era diventato il ricercato numero uno perché guidava una gigantesca organizzazione narcos, il cartello di Sinaloa, che controlla circa il 30 percento della droga che si consuma negli Stati Uniti e la metà di tutta quella che viene prodotta o passa per il Messico. Secondo l’Economist, le coltivazioni di droga (soprattutto marijuana ma anche coca) del Cartello coprono in Messico un territorio di 60mila chilometri quadrati, superficie pari a tutto il Costarica.

Guzman è figlio di una famiglia di contadini poveri delle montagne della sierra di Sinaloa – uno Stato messicano a nord ovest di Città del Messico sull’Oceano Pacifico -. Suo padre coltivava oppio ma la leggenda vuole che da bambino el Chapo fosse un venditore ambulante di arance, caramelle e bevande gassate. Poi, appena adolescente, iniziò a lavorare nelle coltivazioni illegali di marijuana fino a diventare il Padrino di un Cartello narcos che, grazie a lui, funziona come una multinazionale: compra cocaina in Colombia, in Perù e in Bolivia, ed eroina in Afghanistan, e le fa arrivare negli Stati Uniti, ossia sul mercato di consumatori di droga più grande del mondo.

el Chapo e gli arresti

La prima volta el Chapo venne arrestato nel 1993, in Guatemala. E rimase in carcere per sette anni. La sua prima fuga fu molto spettacolare, come in un film scappò nascosto nel furgoncino della lavanderia. Era il gennaio del 2001. Nei tredici anni successivi, Guzman si dedicò a sviluppare la sua multinazionale del crimine organizzato e alle grandi guerre per il controllo del narcotraffico contro gli altri cartelli messicani. Un affare da 70mila morti almeno. Nel 2008 i rivali gli uccisero un figlio, Edgar, in una sparatoria, mentre usciva da un cinema a Culiacan, la capitale dello Stato di Sinaloa.

Quelli prima della seconda cattura, nel febbraio del 2014, sono gli anni in cui cresce la sua leggenda di criminale gentiluomo che la polizia messicana non riesce mai a prendere. A Sinaloa raccontano che quando appariva all’improvviso in qualche ristorante di lusso, le sue guardie del corpo requisivano i cellulari a tutti i presenti ma lui ordinava di pagare la cena per tutti e offriva anche cognac. La seconda fuga, due anni fa, fu ancora più spettacolare della prima. Guzman fuggì grazie a un tunnel costruito fino alla doccia della sua cella.

Troppo narcisista

Poi s’invaghi di un’attrice di telenovelas, Kate del Castillo, che lo convinse a incontrare Sean Penn per discutere  di un film sulla sua vita. Fu un errore da dilettante narcisista che mise esercito e polizia sulle sue tracce. L’8 gennaio del 2016 lo catturarono di nuovo per l’ultima volta. In questi mesi i suoi avvocati hanno combattuto in ogni modo contro l’estradizione chiesta dagli Stati Uniti, fino a ieri sera quando dalla prigione di Ciudad Juarez, el Chapo è stato messo su un aereo diretto a New York per essere processato negli Stati Uniti. El Chapo Guzman si è sposato tre volte e ha nove figli. L’ultima moglie, Emma Coronel, una ex reginetta di bellezza che ha quasi quarant’anni meno di lui, ha partorito nel 2011 a Los Angeles, gli ultimi due suoi figli, che sono americani.

Molti in Messico erano convinti che non sarebbe mai stato estradato perché nei suoi anni da Signore della droga Guzman ha corrotto politici e magistrati e finanziato campagne elettorali. E al processo potrebbe rivelare qualche segreto inconfessabile per l’élite politica messicana.

 

 

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