Onore al merito per il pm Antonino Di Matteo: il Consiglio superiore della magistratura mercoledì lo ha nominato sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia guidata da Franco Roberti.
Dalla relazione del CSM emerge chiaramente «il profilo professionale di un magistrato di elevatissimo livello e prestigio». Di Matteo ha avviato e diretto, in 25 anni di lavoro, un’interminabile serie di indagini e processi, dimostrando capacità di coordinamento, «impulso investigativo», «impareggiabile tenacia» e «ineguagliabile spirito di sacrificio».
Lodi giustificabili non solo a parole ma soprattutto per la quantità e rilevanza dei procedimenti condotti, spesso riaprendo indagini chiuse da decenni; la nomina appare dovuta, e infatti il magistrato ha ottenuto il punteggio massimo nella valutazione espressa dal CSM. In realtà Di Matteo aveva già richiesto in passato di essere trasferito alla direzione nazionale antimafia, ma gli vennero preferiti altri colleghi. Per questo, all’indomani della nomina, il magistrato si è tolto qualche sassolino dalle scarpe: «Sulla mia nomina alla Procura nazionale antimafia in questi anni ci sono stati i veti di alti esponenti istituzionali».
Poi aggiunge: «a prescindere dal valore professionale altissimo dei colleghi che mi sono stati preferiti in altre circostanze, resto convinto che in passato ci sia stato qualche veto e qualche pregiudizio, anche da qualche alto esponente istituzionale. Mi auguro che non sia accaduto ma ho qualche elemento per ritenere che possa essere accaduto». Di Matteo precisa che non si tratta di una fuga dall’importantissimo processo che sta portando avanti a Palermo, quello relativo alla famosa “trattativa stato-mafia”: il magistrato ha chiesto che venga applicata la procedura per cui un pm possa seguire un processo già iniziato pur essendo stato trasferito altrove. Non bisogna dimenticare che cinque mesi fa Di Matteo rifiutò un trasferimento, proposto dai superiori per motivi di sicurezza personale. Totò Riina infatti voleva fargli fare «la fine del Tonno».In quell’occasione Di Matteo preferì proseguire il suo lavoro a Palermo per non dare un segnale di resa a Cosa nostra.
Quindi lascia sì il capoluogo siciliano ma non da fuggitivo: lo fa dalla porta principale, quella di vincitore di concorso. Il magistrato ha voluto inoltre specificare: «Ho fatto la domanda per la Dna per cercare di continuare a dare un contributo alla lotta alla mafia». «Ultimamente non ero più messo nelle condizioni di potere lavorare a tempo pieno su inchieste delicatissime che, a mio parere, richiedono un tipo di impegno totalizzante e invece capitava spesso di occuparmi anche di furti».Adesso dalla Direzione nazionale potrà certamente svolgere il suo lavoro con maggiori uomini e risorse.
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