«Per trovare lavoro è più utile una partita di calcetto che inviare curriculum; il rapporto di fiducia è essenziale». Questo l’ultimo consiglio ai giovani del ministro del lavoro Poletti.
Una verità spicciola da bar sport, ma che allo stesso tempo rivela un’implicita realtà: in Italia la meritocrazia non è un criterio per selezionare la classe dirigente.
Poletti ha per certi versi ragione, ed il quadro che ne viene fuori però è deprimente: in molte realtà lavorative contano le conoscenze e le relazioni; partite di calcetto, cene, strette di mano valgono più di un curriculum ben piazzato.
La verità è che il rapporto di fiducia è essenziale e diviene prevalente in molti settori, ma quello è il caso dei professionisti, avvocati, rappresentanti; anche la legge riconosce a quel tipo di rapporti una valenza e regole particolari, per il legame fiduciario che li caratterizza. Tuttavia i giovani italiani sono disoccupati puri e semplici, cercano impieghi che nella stragrande maggioranza dei casi sono di lavoro dipendente o ad esso assimilabili: il curriculum e il merito dovrebbero essere i criteri di selezione principali in uno Stato che professa di aderire ad un’economia di mercato.
La risultante della nostra scala di valori diviene quindi il classico capitalismo all’italiana: la congrega trionfa sulla carriera e il familismo fa da padrone. Non è sufficiente rispettare tutte le regole, aspirare ed arrivare ai massimi risultati in campo formativo e professionale; c’è un criterio in più per venire selezionati: la partita di calcetto; ma una società che si basa prevalentemente su familismi e vicinanze personali non è tesa all’efficienza e al miglioramento bensì alla corruzione e alla regressione.
Fatale coincidenza, e al tempo stesso dimostrazione di questo ragionamento, potrebbe essere considerato lo scandalo, che riguarda l’altro ministro del governo Gentiloni, Marianna Madia, la quale avrebbe copiato una parte sostanziosa della sua tesi di dottorato: almeno quattromila parole da altri autori senza citare la fonte. Brutto colpo per il ministro: già al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi in molti avevano storto il naso per la nomina della giovane Madia, facendone notare la fulminea carriera combinata con lignaggio e conoscenze familiari di primissimo piano; l’altra stangata invece è arrivata quando la sua riforma sulla P.A. è stata annullata dalla Corte costituzionale: anche lì non sono mancate polemiche sull’inadeguatezza di uno dei ministri più giovani in assoluto della storia della Repubblica.
Il plagio quindi, se accertato, rappresenterebbe, o almeno dovrebbe rappresentare in un paese normale, un’ulteriore causa di delegittimazione della Madia, ma non solo: Poletti e Madia, e le questioni che li hanno visti protagonisti, fanno facilmente intuire come il populismo e “l’antipolitica” trovino un campo sapiementemente e inconsapevolmente concimato proprio dai loro stessi avversari. E’ chiaro che se la politica non riuscirà rinnovarsi e liberarsi da questo vischio di parenti e amici del circoletto potrà solo piangere sè stessa davanti al trionfo dei personalismi e dei populismi.
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