Niente trasferimento a Roma nella superprocura per Nino Di Matteo: almeno per i prossimi sei mesi il magistrato rimarrà a Palermo. Questa la decisione, comunicata questa mattina dal Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia.
Di Matteo rimarrà dunque al suo posto, per altri sei mesi, esattamente fino al 15 dicembre. La decisione però sorprende il magistrato: aveva richiesto di poter continuare a seguire il processo sulla trattativa Stato-mafia, tenuto a Palermo, pur essendo stato nominato alla procura nazionale antimafia di Roma. Trattasi di una procedura in deroga al trasferimento, prevista dall’ordinamento giudiziario e richiesta da Di Matteo per il delicato ruolo svolto dal pm nel processo celebratosi fin qui a Palermo.
Adesso il magistrato dovrà aspettare sei mesi prima di poter esercitare le più ampie competenze riservate alla superprocura di Roma. «Questa procedura, diversa da quella della applicazione che avevo auspicato, mi impedisce di fatto, per un consistente lasso di tempo, di prendere possesso delle funzioni di sostituto procuratore nazionale attribuitemi in esito a un regolare concorso» ha dichiarato Di Matteo.
«Sono convinto – riferisce il pm – che c’erano gli strumenti per coniugare il mio diritto ad essere trasferito nella nuova sede con l’esigenza di assicurare la continuità del mio lavoro nel processo. Si è preferito trattenermi ancora nelle funzioni di sostituto procuratore a Palermo». Funzioni che per lo più si esauriscono in indagini su furti e scippi, essendo già da tempo terminato il suo incarico alla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Palermo.
«L’eccezionale situazione riguardante il magistrato» giustifica la decisione, secondo il ministero della Giustizia. Ma Di Matteo aveva scritto nei giorni scorsi agli uffici di via Arenula per precisare le sue richieste, al fine di evitare la situazione paradossale della permanenza a Palermo: alcuni mesi fa infatti gli era stato proposto dal Csm il trasferimento da Palermo, proprio per ragioni eccezionali di sicurezza. Il trasferimento fu rifiutato dal magistrato «per non dare alla mafia un segno di sconfitta».
Adesso però, invece di applicare la procedura richiesta da Di Matteo, il pm viene inviato nuovamente nel luogo dal quale doveva essere allontanato per ragioni di sicurezza.
Un controsenso logico che complica e ritarda l’importante lavoro del magistrato, ma non solo: rimangono vivi i sospetti, più volte manifestati non soltanto da Di Matteo, di un ostruzionismo da parte dei piani alti delle istituzioni ai danni del giudice siciliano.
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