Nelle pieghe della manovrina di primavera si riaffaccia la tassa “Airbnb”. In teoria la misura riguarda tutti gli affitti turistici, cioè di durata inferiore ai 30 giorni, prevedendo l’applicazione di una cedolare secca al 21%. In pratica è destinata a far discutere soprattutto per le sue implicazioni sulla piattaforma di condivisione più diffusa al mondo: imporrebbe infatti a tutti gli intermediari, sia agenzie immobiliari che portali tecnologici, di registrare tutti i contratti conclusi per loro tramite, pena incorrere in sanzioni pecuniarie. Non solo, potrebbe essere estesa fino a prevedere che i portali agiscano da sostituto di imposta, applicando la ritenuta all’atto del pagamento della stanza e girando il dovuto al Fisco. Una prospettiva a cui Airbnb si è sempre opposta, trovando anche il supporto dell’ex premier Matteo Renzi.
La cedolare secca al 21% in realtà già esiste, ma nasce per le locazioni di lungo periodo ed è applicabile a quelle turistiche solo grazie a una interpretazione dell’Agenzia delle Entrate. La misura ipotizzata dal governo, e che potrebbe trovare spazio nel drecreto “contenitore” della manovrina, le darebbe dunque una base di certezza normativa, ma soprattutto introdurrebbe l’obbligo per gli intermediari di registrare i contratti. Oggi per questi affitti non è previsto nessun vincolo di registrazione, una delle cause dei forti tassi di “nero” tra gli affittuari (nonostante il regime della cedolare sia molto più conveniente della normale dichiarazione Irpef).
In alcuni Comuni, come per esempio Firenze, AirBnb contribuisce alla raccolta della tassa di soggiorno, che gira direttamente all’amministrazione. Molto diverso però sarebbe imporre a lei come alle agenzie private di trasmettere i dettagli di ogni contratto, obbligo che comporterebbe la comunicazione dei dati privati degli affittuari. E ancora più gravoso sarebbe quello di raccogliere le imposte per conto dell’Erario. Una disposizione che è stata ipotizzata anche nel disegno di legge sulla sharing economy in discussione in Parlamento. Ma che rischia di caricare le piattaforme, che si definiscono semplici intermediari tra domanda e offerta, di un onere sproporzionato.
Un emendamento per introdurre la cedolare secca era stato presentato anche durante la discussione dell’ultima legge di Bilancio, su pressione degli albergatori. Prima che l’allora premier Renzi intervenisse di persona stralciandolo, e promettendo che la manovra non avrebbe introdotto “nessuna nuova tassa, nemmeno su Airbnb”. Anche se, come detto, più che una di una nuova tassa qui si stratterebbe di estendere un regime agevolato già esistente. Il responsabile della società in Italia Matteo Stifanelli ha sempre dichiarato che la piattaforma è pronta a dialogare con il Fisco per trovare una soluzione al problema dell’evasione, ma rifiutando come “semplicistica” l’ipotesi della cedolare: “Ci imporrebbe di conoscere in anticipo la situazione fiscale delle persone, ma noi non siamo un braccio dell’Agenzia delle entrate».
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