TAP, trans-adriatic plot

Tap sta per Trans-Adriatic Pipeline (chiamarlo gasdotto non sarebbe stato meglio?), e nelle ultime settimane questo acronimo così infelicemente onomatopeico è passato sulla stampa nazionale perché il Tap stava per saltare proprio dalle nostre parti, in Puglia, dove la popolazione s’è ribellata e si sono verificati scontri con le forze dell’ordine. Il tubo, che parte dall’Azerbaijian e attraversa Turchia, Grecia e un pezzo d’Italia, minaccia duemila ulivi in provincia di Lecce. Un’esagerazione – la protesta – secondo buona parte dei commentatori, alcuni inorriditi dai continui “no” del Paese a ogni processo di modernizzazione. Domenica scorsa l’Espresso ha pubblicato un’inchiesta, spiegando che dietro il tubo che attraversa terra e mare da un continente all’altro, c’è una ragnatela di società che coinvolge anche familiari dell’ormai sovrano assoluto della Turchia Teyyip Erdogan, fresco vincitore (più de jure che de facto) del referendum costituzionale del 16 aprile, quello che dalle prossime elezioni consentirà all’attuale capo dello Stato di esercitare anche il potere esecutivo.

L’inchiesta pubblicata da L’Espresso contiene più nomi di un romanzo di Balzac, una trama d’intrecci societari che chiama il causa il genero di Erdogan, il cognato, il ministro del governo guidato dal suo sodale Binali Yildirim; e ancora: il dittatore dell’Azerbaijian e uomini cresciuti all’ombra di Putin. Le questioni d’affari, politiche e geopolitiche sembrano inseparabili tra loro. Il primo tratto del tubo fu posato una dozzina d’anni fa nello giacimento di Shah Deniz in Azerbaijan; da lì ha attraversato la Turchia e prima di arrivare in Grecia, la società privata con sede in Svizzera che porta avanti il progetto, ha avuto riconosciuto un lauto finanziamento dall’Unione europea. Non c’è capitalismo – potrebbe essere la morale – senza aiutino pubblico, se aiutino si può considerare il finanziamento concesso a un consorzio che riunisce alcune multinazionali e che porta avanti un progetto di 45 miliardi di euro.

Un controverso filosofo dei nostri tempi ha spiegato che bisogna indagare con intelligenza nel luogo dove avviene l’incontro tra i desideri espressi dalla gente e quelli della classe dirigente. I desideri dei primi finiscono quasi sempre per essere compatibili con quelli dei secondi, a condizione che siano questi ultimi a definire i dettagli. Fin qui nulla di sconveniente, anzi, il percorso sembrerebbe il più armonico possibile. Il problema sorge quando i dettagli cambiano i connotati del desiderio e si comincia a sentire puzza (di gas).