Arturo Bova, presidente (forse ex) della Commissione Regionale Antimafia, finisce nel mirino di un chiassoso linciaggio mediatico che si sta consumando proprio in queste ore. La colpa attribuitagli, quella di aver condiviso con Leonardo (detto Nando) Catarisano, una quota sostanziale della società gestita dal presunto Boss. Catarisano è infatti amministratore della Gife S.a.s di Catarisano e C. impegnata nel settore edile. Nel gennaio 2001 l’impresa viene ceduta alla Gife Srl passando quindi da società di persone a società di capitali. Attualmente la società è gestita da Leonardo Catarisano e Antonio Severini.
Le carte dell’operazione “Jonny” condotta dal Dda di Catanzaro – che ha portato all’arresto di 68 persone più 16 indagati – hanno rivelato che nel 2001 amministratore unico della società è stato proprio Arturo Bova (succeduto a Giovanni Bova). Riconfermato poi dal 2005 al 2008. Dalle indagini, emerge che Bova era in possesso di 6.800,12 quote nominale della Gife Srl, pari ad un terzo dell’intero capitale. Il politico avrebbe poi consegnato tali quote all’attuale socio Antonio Severini.
Stando alle ricostruzioni, gli anni che hanno visto Bova a capo dell’amministrazione della società, sono gli stessi anni che hanno accompagnato l’ascesa di Leonardo Catarisano al vertice della ‘Ndrangheta locale. Lo stesso era di fatti impegnato in una guerra di mafia con il clan rivale dei Cossari, per ricoprire il posto lasciato vuoto da Salvatore Pilò, ritenuto vicino alla cosca Arena e, prima ancora, da Antonino Giacobbe, sotto l’influenza di Saverio Barbieri (“u tirannu”). La faida, a seguito di una serie di morti, raggiunge il suo apice con l’attentato (presumibilmente indetto dalla cosca Cossari) nei confronti dello stesso Catarisano, il 23 maggio 2008, mentre accompagnava la figlia a scuola. Padre e figlia rimarranno soltanto feriti e a distanza di una settimana si consuma un altro attentato in cui perde la vita Salvatore Cossari e che vede la definitiva ascesa di Nando Catarisano.
La notizia della compagine sociale che vede protagonisti un presunto Boss e il presidente regionale Antindrangheta, seppur priva di rilievo penale è comunque apparsa discutibile su quello etico. A maggior ragione a seguito del chiaro gesto intimidatorio indirizzato proprio ad Arturo Bova nel 2015 in cui vengono incendiate due autovetture di sua proprietà. All’indomani del gesto l’intero PD si è stretto solidalmente attorno al politico. Quello stesso PD che, ad oggi, deve decidere se mantenere o allontanare Bova dalle sue funzioni. A meno che non sia lo stesso Bova ad abbandonare la nave.
Non lascio, non scherziamo, non c’è proprio motivo per farlo. Quello che dovevo spiegare l’ho spiegato, già a suo tempo. E non devo aggiungere altro
Commenta nella giornata del 30 maggio il presidente regionale antindrangheta alla domanda, inoltrata anche dal M5S di presentare le dimissioni. Spinto forse dal partito cui è legato, Bova sembra poi ritrattare rilasciando una dichiarazione dai toni decisamente diversi.
Ritengo che sia mio preciso dovere salvaguardare la Commissione che mi onoro di presiedere e l’intero Consiglio Regionale dall’esposizione mediatica e dal pregiudizio che ne deriverebbe nel faticoso e difficile processo riformatore che stiamo cercando di mettere in atto per risollevare le sorti della nostra martoriata terra. […]Queste considerazioni mi impongono di sospendere ogni mia attività connessa alla carica di Presidente della Commissione contro la ‘ndrangheta.
Secondo fonti locali, Arturo Bova si starebbe recando proprio in queste ore dal capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Sebi Romeo, al fine di annunciargli le probabili dimissioni. (Clicca qui per leggere l’intera dichiarazione pubblicata da Catanzaroinforma.it)
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