Legge elettorale, il Movimento 5 Stelle ha deciso
“Io sono sempre fiduciosa, quindi spero che l’accordo fra i tre principali partiti possa avere ovviamente un esito favorevole”, ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, rispondendo ad una domanda sulla legge elettorale.
“I portavoce del M5s devono rispettare il mandato” arrivato dal voto online “perchè il testo depositato in Commissione corrisponde al sistema votato dai nostri iscritti“: lo scrive Beppe Grillo in un post sul blog nel quale assicura che “se gli altri partiti non cambieranno idea sul modello tedesco i portavoce del M5s voteranno a favore del testo: non è il nostro modello ideale ma è un sistema costituzionale che può diventare legge solo grazie a noi”.
“Liberiamo il campo dalle strumentalizzazioni: noi continuiamo a sostenere Gentiloni” – ha detto Valentina Castaldini, portavoce nazionale di Ap – “portare avanti le riforme” e “la legge di stabilità. La posta in gioco è la tenuta del Paese e il rilancio dell’economia. Ha preferito trovare il sostegno nelle opposizioni affermando che la legge elettorale ha bisogno di un consenso ampio. Peccato che non è stato indispensabile il voto delle opposizioni sull’Italicum”. “Un eventuale problema nella maggioranza potrebbe crearlo Renzi”.
“Con il Pd la collaborazione è finita, accettiamo la sfida del 5% e riaggregheremo liberali, popolari, e moderati”. Ci sono un presupposto e una promessa nelle parole con cui Angelino Alfano sintetizza la più cruciale delle Direzioni della breve storia di Alternativa Popolare. Il presupposto è che, da ora in poi, con l’ex alleato Matteo Renzi, sarà guerra aperta. La promessa, invero non facile da realizzare, è che con un centro unito gli alfaniani supereranno la soglia anti-cespugli prevista dal sistema tedesco. C’è una reazione di orgoglio, insomma, tra i centristi “scaricati” da Renzi. Una reazione che si trasforma in uno scontro all’arma bianca tra Ap e Pd sulla tenuta del governo. “Noi lo sosteniamo, Renzi vuol far cadere il governo oppure no?”, incalza Alfano. Ma con il segretario Dem lo scontro oggi verte soprattutto sulle pressioni che, secondo Ap, Renzi avrebbe fatto sugli alfaniani per far cadere Gentiloni già a febbraio.
“Io ho fatto cadere il mio esecutivo, loro sono nervosi e non conoscono la parola dimissioni”, è la replica di Renzi all’accusa di Ap. A “preparare” il caso delle pressioni Dem di febbraio è, in mattinata, Sergio Pizzolante. “Renzi ha la smania di prendersi la rivincita dopo il 4 dicembre e da febbraio ci chiede di far fuori Gentiloni. In cambio ci ha detto: la legge elettorale scrivetevela voi”, spiega il deputato prima di entrare in Direzione. E nella conferenza stampa che segue la riunione la curiosità dei cronisti non può che virare sull’ipotetico “complotto di febbraio”. “Sergio è una persona seria, non smentisco. Del resto una certa agitazione del Pd verso il governo Gentiloni c’è da mesi”, sottolinea Alfano, incalzato dalle domande. Il Pd smentisce seccamente ma in una manciata di minuti, il caso irrompe in Parlamento.
“E’ uno scenario eversivo e inquietante. E’ insopportabile avere il Paese sotto ricatto di Alfano e di Renzi”, attacca Luigi Di Maio del M5S che con Mdp chiede al premier Paolo Gentiloni di riferire in Aula. Il nuovo scontro certifica la fine del dialogo tra Pd e Ap. Un esito che non tutti, tra i centristi, vedono con soddisfazione sebbene in Direzione, ad emergere, sia soprattutto l’ira per il comportamento di Renzi, che Fabrizio Cicchitto definisce “un giocatore delle tre carte”. “Il 5% sarà la scintilla per riaggregare i moderati e i popolari”, avverte Alfano annunciando che nessun emendamento Ap punterà ad abbassare la soglia ma ponendo già i primi paletti sui provvedimenti in calendario. “La nostra priorità, se il governo continuerà, è la legittima difesa”, sottolinea il titolare della Farnesina. C’è, poi, da organizzare la pattuglia per superare il 5%. Buona parte della Direzione si sofferma proprio su questo punto dove resta evidente il nodo della leadership (e il passo di lato del ministro degli Esteri) che al momento distanzia Alfano da Stefano Parisi. E non è un caso che la capogruppo al Senato Laura Bianconi bocci l’idea di una federazione centrista a favore di un contenitore ex novo, da “realizzarsi a breve”.
Federazione che, davanti ai cronisti, Alfano non nomina così come non cita quelle primarie che, fino ai ieri, sembravano un punto fermo. Una scelta che, forse, potrebbe avvicinare Parisi a progetto di Ap. Nei prossimi giorni Maurizio Lupi sarà incaricato di tessere la tela e incontrerà i vari possibili interlocutori: da Fitto a Tosi allo stesso leader di Energie per l’Italia. “Prima i contenuti, per il leader vedremo”, preannuncia, diplomatico, Lupi.
Insorgono i partiti più piccoli della maggioranza dopo il deposito del testo della legge elettorale concordata tra Pd, FI e M5s: non solo Angelino Alfano dichiara finita la “collaborazione” con il partito di Matteo Renzi, ma anche la galassia di centro (Des-Cd, Ci, Udc) e Mdp picchiano duro sul nuovo sistema simil-tedesco. Sono però i dubbi sorti all’interno dei pentastellati, a destare preoccupazione specie in vista del passaggio al Senato. I tempi stretti di esame in Commissione del maxi-emendamento presentato giovedì dal relatore Emanuele Fiano, hanno spinto i capigruppo dei partiti contrari alla legge a rivolgersi alla presidente della Camera Laura Boldrini.
Quest’ultima per evitare un approdo in Aula del testo, fissato a lunedì 5 giugno, in un clima di scontro, è riuscita a concordare con i capigruppo di Pd, Fi e M5s lo slittamento di 24 ore, a martedì 6 alle 12. Di conseguenza si dilatano di 24 ore anche i tempi di esame in Commissione Affari costituzionali: i sub emendamenti potranno essere presentati sabato mattina e si voterà per tutto il week end e, se serve, lunedì. Non a caso apprezzamento verso Boldrini, il presidente della Commissione Andrea Mazziotti e verso il relatore, è stato espresso da Ignazio La Russa (Fdi), anch’egli assai critico verso il testo. Ma per certi versi le proteste di Udc (con Lorenzo Cesa e Antonio De Poli), di Des-Cd (Lorenzo Dellai) o di Ci (Domenico Menorello) erano nel conto, così come quelle di Mdp (da Roberto Speranza a Federico Fornaro) che pure all’inizio avevano detto sì al modello simil-tedesco. Inaspettate sono state invece alcune dichiarazioni di parlamentari di M5s: “è un mega Porcellum” ha tuonato la senatrice Paola Taverna; e Roberto Fico ha lasciato tutti di stucco: “l’accordo non è scontato”.
Di contro Danilo Toninelli, l’esperto di leggi elettorali, ha difeso il testo di Fiano, pur annunciando emendamenti che lo rendano davvero come il tedesco, come il voto disgiunto tra parte proporzionale e collegi uninominali, che piace anche a Mdp. L’accordo tra Fi e Pd è comunque saldo e i parlamentari di questi due partiti, nei loro colloqui con i colleghi di M5s, li mettono in guardia: se salta l’intesa sul simil-tedesco, con la soglia al 5%, si finirà con l’Italicum, che è un proporzionale ma con la soglia al 3%, che danneggia M5s, oltre al Pd. “Con la soglia al 5% – è il mantra di Renzi che i Dem ripetono a M5s – un partito che prende il 40% può avere la maggioranza dei seggi, con la soglia al 3% no”. E il Movimento ci crede a quel 40%.
Al momento la “triplice intesa” tiene anche se dubbi ci sono anche tra i deputati Dem delle Regioni Rosse: a causa del riparto proporzionale dei collegi uninominali, può accadere di essere il più votato in un collegio ma di non essere eletto. Quanto alle critiche per le urne anticipate a settembre-ottobre evocate da Renzi, questi, riunendo la segreteria ha osservato che proprio le odierne parole di Alfano e il “no” alla fiducia giovedì di Mdp e Udc dimostrano che sarebbe impossibile un iter parlamentare della Legge di Bilancio senza “trabocchetti” con urne a febbraio. Meglio invertire i fattori.