Cultura

Concerto d’addio di Elio e le storie tese

L’ansia tifica che circolava questa estate sulla fine degli Elio e le Storie Tese si è concretizzata.

Il 19 dicembre suoneranno per l’ultima volta insieme al Teatro San Babila di Milano lasciandoci in eredità in l’ultimo singolo in uscita il 20 ottobre, dal titolo “Licantropo vegano”.

Elio e le Storie Tese ci lasciano. Cristo, perchèèèèèèèèè (cit).

Questa volta è tutto vero. Questa volta non è la replica di quello scherzo fatto già nel 1988 quando tennero il loro primo concerto d’addio.

O almeno, questo è quello che vogliono farci credere e che dichiarano Elio, Cesareo e Faso nell’intervista tripla rilasciata per “Le Iene”: « è importante capire quando è ora di dire basta e quando è ora di passare a qualcos’altro», dice Elio, e aggiunge «Ci vuole l’intelligenza di rendersi conto di essere fuori dal tempo…youtuber, rapper, influencer, queste sono le persone che parlano ai giovani oggi ».

È l’inizio della fine. Il genio si ritira per lasciare spazio a chi?

A gente come Rovazzi. Uno che non sa nemmeno come intonare un La, uno che dovrebbe comandare solo nel bagno di casa sua ma che, di fatto, raccoglie milioni di proseliti.

Impossibile rassegnarsi a questo sipario. E’ un dolore acuto, la fine di un’era, la nostra.

Alzi la mano chi non ha mai cantato “Tapparella” o “Servi della Gleba”, magari di notte in auto, con un trasporto che nemmeno “Emozioni” di Battisti passata su Radio Margherita poteva suscitare.

Nati a Milano nel sempre più lontano 1980 dalla mente di Stefano Belisari, Elio e le Storie Tese diventano il riferimento di una generazione e simbolo della musica indipendente italiana.

Nel 1982 al gruppo si aggiunge il genio di Rocco Tanica con cui Elio inizia a comporre i primi capolavori tra cui John Holmes, Cassonetto differenziato per il frutto del peccato e Pork e Cindy, per acquisire un anno più tardi, la più grande chitarra rock del panorama italiano: Davide Civaschi, alias Cesareo.

Musicisti sopraffini, animali da palcoscenico. In sintesi artisti immensi.

Ho avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo quasi dieci anni fa al Teatro Golden di Palermo nel corso del tour “Studentessi” godendo come un riccio per la loro abilità musicale da pazzi e per la presenza dell’amico Mangoni che ho sempre pensato essere il mio uomo ideale (nessuno come Mangoni può vestirsi da peperone ed essere figo).

Conserverò per sempre e con cura i loro autografi, ottenuti al prezzo di una penna a sfera costosissima che Faso con la scusa della firma, non m’ha più restituito.

I titoli degli album a volte impronunciabili ma comunque indimenticabili, custodiscono spartiti di una complessità imprevedibile ed insospettabili collaborazioni artistiche de luxe: Max Pezzali in Spalman, Enrico Ruggeri in “Il vitello dai piedi di Balsa”, Gianni Morandi in “Fossi figo” (semplicemente geniale), Riccardo Fogli in “Uomini col borsello”, Diego Abadantuono, Antonella Ruggeri; l’elenco è infinito.

La mia preferita? Tutte in realtà.

Devo però confessare che “Piattaforme” è quella del cuore, che mi commuove sempre e mi ricorda a posteriori il periodo più bello della mia vita ed i ritorni in macchina infiniti insieme al mio più caro amico, inevitabilmente bronza e malinconica.

Quest’addio è il paradigma di quello che siamo diventati, di quello che vogliamo e non riusciamo ad ottenere perché chiediamo Fonises e ci danno Anvanzies.

Se fino ad ora me la sono cavata senza traumi particolari, lo devo anche a loro e non riesco a rassegnarmi.

Del resto, se Elio e le Storie Tese ci dicono ciaone, avranno le loro buone e sacrosante ragioni e ci lasciano un motivo in più per cui riflettere.

Un ultimo sentito riconoscimento va comunque conferito ai nostri eroi e qui lo propongo: adottiamo il Pippero come inno ufficiale della Repubblica Italiana.

Redazione

Redazione Moralizzatore

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