di Emanuele Ingrao – Nell’immaginaria e tranquilla di Avechot, in mezzo alle Alpi, si verifica un terribile evento. È scomparsa una ragazzina di sedici anni. Viene chiamato a condurre le indagini l’ispettore Vogel (Toni Servillo), noto per i suoi poco convenzionali modi di operare. Quest’ultimo, infatti, è solito preoccuparsi non tanto del raccoglimento di prove, dati, e testimonianze, quanto, invece, della costruzione di una vera e propria messinscena mediatica del caso, facendo affidamento sul giornalismo televisivo, e dell’individuazione di un capro espiatorio su cui fare ricadere la colpa.
Questa strategia investigativa farà ricadere i principali sospetti su un professore del liceo (Alessio Boni) frequentato dalla stessa ragazzina. Il film segna l’esordio alla regia di Donato Carrisi, qui in veste anche di sceneggiatore, ed è la trasposizione dell’omonimo romanzo di cui egli stesso è l’autore. La pellicola si apre con una dichiarazione d’amore del regista, una citazione immediata a Twin Peaks, attraverso la comparsa del celebre cartello stradale, che qui recita “Welcome to Avechot”. Per chi, come me, ama profondamente l’universo di Twin Peaks, e le atmosfere di mistero create dal genio visionario di David Lynch, è impossibile non provare una leggera commozione davanti a tale inquadratura di apertura. È una chiara dichiarazione di finzione rivolta agli spettatori, trasportati ancora una volta all’interno del mondo di provincia, dove tutti sanno tutto di tutti, e niente e nessuno è come sembra. Nel corso dell’intera opera numerose saranno le citazioni alla celebre serie di Lynch, ad esempio nella ricostruzione di alcuni interni, e a tanti altri autori, tra cui David Fincher.
La ragazza nella nebbia è un film che si inserisce con prepotenza nella nostra contemporaneità, e di essa ne è specchio inquietante. L’intento di Carrisi è quello di mostrare allo spettatore, attraverso un campionario di personaggi dalla condotta molto discutibile, la messinscena della vita quotidiana. Questo accade ad Avechot, in quella piccola realtà di provincia, tanto presente nella letteratura occidentale, e nella cinematografia di tutto il mondo, dove il perbenismo e la presunta discrezione vengono smascherati e messi in crisi dal semplice gesto di battere le mani quando nessuno se l’aspetta. Le topiche sembrerebbero, dunque, scontate, già consolidate nell’immaginario collettivo. Ma non è così. Il film di Carrisi è una forte e cinica critica nei confronti della spettacolarizzazione del dolore, all’ostentazione della compassione che produce inazione, e dell’accanimento mediatico.
Il personaggio di Vogel (Servillo), spregiudicato e con un etica di comportamento del tutto singolare, è la chiave di comprensione della farsa che egli stesso costruisce. Ciò che conta non è rivelare la verità, non subito almeno, ma dare alle persone, in questo caso agli spettatori, un cibo con cui alimentare la rabbia e l’insoddisfazione sociale che tutti provano. E per fare ciò occorre un facile bersaglio. La regia di Carrisi è pulita, per certi versi classica in alcune scelte stilistiche. Fa un ampio uso di carrellate lente in linea con l’idea di sospensione che alcuni momenti della narrazione vogliono suggerire. Carrisi mostra sin da subito un ottimo gusto nella composizione delle immagini, e attua alcune scelte molto interessanti e suggestive per quanto riguarda la fotografia e l’utilizzo delle luci. Affiancato da un ottimo direttore della fotografia, Federico Masiero, decide spesso di squarciare la scena con luci e ombre di derivazione espressionistica, creando atmosfere tipiche del noir.
E spesso, infatti, luci e ombre tagliano in due i volti dei personaggi. Ottima da parte sua anche la direzione degli attori, sia delle star, che dei comprimari. Da sottilineare le bellissime interpretazioni di Toni Servillo e di Alessio Boni. La prima talvolta troppo caricata, ma coerente con un personaggio che ha manie divistiche. La seconda è altrettanto degna di nota, decidendo, Boni, di lavorare per sottrazione. Interessante anche la gestione del tempo nella narrazione, che procede per flashback e flashforward in relazione a un punto di vista mai univoco.
A mio avviso, la pellicola non è priva di difetti. La prima parte risulta un po’ lenta, e in alcuni momenti la parabola della tensione discende in maniera immotivata. Reputo, infine, La ragazza nella nebbia un buon film, che va sostenuto, come tutto il buon cinema italiano contemporaneo. E sebbena possa risultare ridondante per alcuni dei suoi temi, ci ricorda che l’attualità va studiata nelle sue infinite forme e manifestazioni. E, soprattutto, per essere un’opera prima, complimenti…
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