di Openpolis – La scorsa settimana l’Inps ha presentato i primi dati sul reddito di inclusione (rei), la misura di contrasto alla povertà partita a gennaio. Nei primi 3 mesi del 2018 ha raggiunto 317mila persone, per oltre il 70% famiglie meridionali. Questo dato ha riaperto la questione (mai sopita) delle condizioni sociali del mezzogiorno. In che stato si trovano le diverse aree del nostro paese? Lo vediamo con alcuni dati.
È la misura nazionale anti-povertà varata dai governi Renzi e Gentiloni. Si tratta di un assegno mensile che varia in base a quanto è numerosa la famiglia: si va dai 187,50 euro al mese per un solo componente ai circa 540 euro per le famiglie con almeno 5 membri. Viene erogato attraverso una carta prepagata, e possono riceverlo i nuclei familiari in gravi condizioni economiche (sotto i 6.000 euro di isee e altri limiti patrimoniali).
Se ne fa richiesta al comune di residenza, ed è condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato di uscita dalla povertàpredisposto con i servizi sociali, che dovrebbe aiutare nella ricerca di un lavoro e nella formazione. Può essere erogato per un anno e mezzo e, trascorsi 6 mesi, si può chiedere il rinnovo per un altro anno. Ad oggi è subordinato anche ad altri requisiti (la presenza di almeno un minore nella famiglia, oppure di un disabile, una donna incinta o una persona disoccupata con più di 55 anni), ma da luglio 2018 (grazie alle risorse aggiunte con l’ultima legge di bilancio) resteranno solo i requisiti economici, rendendolo una misura universale.
A regime è previsto uno stanziamento pari a circa 2 miliardi di euro annui, capaci di raggiungere 2,5 milioni di persone. Un passo avanti ma ancora non in grado di corrispondere all’intera platea dei poveri assoluti in Italia, quantificata da Istat in 4,7 milioni di individui. Un numero che nel corso dell’ultimo decennio è cresciuto in conseguenza della crisi economica.
Quindi attualmente il reddito di inclusione può aiutare circa la metà delle persone più povere in Italia. Ma ciò che ha destato scalpore è che oltre 7 beneficiari del rei su 10 vivano nelle regioni del mezzogiorno. Come si spiega questo dato?
Per cominciare, dei 4,7 milioni di poveri assoluti in Italia, oltre 2 milioni vivono nel sud e nelle isole. Questo elemento va inquadrato non solo in termini assoluti, ma anche rispetto al totale della popolazione residente. Data la minore popolosità, al sud la povertà assoluta incide maggiormente (9,8%). Significa che quasi un abitante su 10 non può permettersi l’insieme dei beni e servizi che sono considerati essenziali per mantenere uno standard di vita minimamente accettabile.
Ma il dato può essere spiegato soprattutto con la mancanza di lavoro: le regioni con più beneficiari del rei sono anche quelle dove il tasso di disoccupazione è più alto. Campania, Sicilia e Calabria sono le 3 regioni dove il numero di percettori del reddito di inclusione è di gran lunga maggiore. Sono anche le uniche ad aver registrato nel 2017 un tasso di disoccupazione superiore al 20%.
La relazione tra mancanza di lavoro e percettori del rei riguarda tutte le regioni italiane, con l’eccezione apparente della Puglia: quarta per disoccupazione (18,8%) e solo nona per quota di beneficiari (33,7 ogni 10.000 abitanti). Ma si tratta appunto di un’apparenza: i dati sul rei per adesso non integrano i beneficiari di altri sussidi regionali, come il reddito di dignità pugliese.
Questo porta a un’ulteriore considerazione per le future politiche in materia di lotta all’indigenza. Il rei è stato concepito con un impianto a “due gambe”, una prevede l’aiuto materiale, l’altra un progetto di reinserimento lavorativo, laddove questa è la causa principale della povertà della famiglia. Aspetti che andranno tenuti necessariamente insieme, perché la curva dei poveri assoluti torni a scendere.
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