“Buongiorno, sono la Banca. Mi sente bene?”, se rispondi a questa domanda ti ritrovi 300€ di addebito sul conto corrente

Immagina di ricevere una telefonata e una voce cordiale si presenta: “Buongiorno, sono la Banca. Mi sente bene?”. Una domanda semplice, apparentemente innocua ma che in realtà nasconde qualcosa di serio.
Cosa succede quando a questa domanda segue una clausola inaspettata, un avvertimento che gela il sangue nelle vene? “Se risponde a questa domanda, si ritroverà 300€ di addebito sul conto corrente.”
È in quel preciso istante, in quel vuoto di pochi secondi, che il destino può cambiare.
Improvvisamente, la conversazione assume una piega sinistra, un gioco perverso dove ogni parola ha un prezzo e ogni risposta è una trappola.
La Banca, da amica fidata, si trasforma in un avversario subdolo, un giocatore di scacchi che muove le pedine con astuzia e cinismo.
Una nuova truffa
Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci ha reso più connessi che mai, ma anche più vulnerabili. I truffatori lo sanno e sfruttano la nostra ingenuità. Nell’ultimo periodo la cosiddetta “truffa del sì” si sta diffondendo a macchia d’olio, colpendo ignari consumatori con addebiti indesiderati. I truffatori, spacciandosi per operatori di call center, contattano telefonicamente le vittime, utilizzando numeri di cellulare o fisso con prefisso italiano per guadagnare la loro fiducia. La conversazione inizia con una domanda apparentemente innocua: “Lei è il signor/signora [nome e cognome]?”. Se la vittima risponde affermativamente, la telefonata si interrompe.
A questo punto, i truffatori utilizzano la registrazione del “sì” per falsificare una conversazione, facendo sembrare che la vittima abbia acconsentito a un contratto non richiesto. Dopo circa un mese, la vittima riceve una comunicazione che attesta il passaggio a un nuovo gestore e una fattura di cessazione del contratto precedente. La difesa contro questa insidia richiede vigilanza e consapevolezza. Innanzitutto, mai fornire dati personali al telefono, né i codici POD e PDR, che identificano le nostre utenze e permettono il cambio di contratto. Il codice fiscale e l’IBAN sono informazioni sensibili da non condividere mai, a meno di una certezza assoluta sull’interlocutore. E, soprattutto, evitare di pronunciare quel fatidico “sì”: rispondere “sono io” è sufficiente.

Come comportarsi in caso di truffa
Quando la truffa si concretizza in fatture non riconosciute, la reazione deve essere immediata. Un reclamo formale alla nuova società, inviato tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, è il primo passo per disconoscere il contratto e richiedere il ripristino del vecchio. Una copia del reclamo all’AGCM (Antitrust) può innescare un’indagine sulle pratiche commerciali scorrette.
Se la società insiste con le richieste di pagamento, la conciliazione diventa obbligatoria, un tentativo di mediazione gratuito offerto da ARERA per gas ed elettricità, e da AGCOM per la telefonia. In caso di fallimento della conciliazione, la via legale si apre, con il Giudice di Pace per importi inferiori a 5.000 euro e il Tribunale per somme superiori. La richiesta della registrazione telefonica può rivelarsi decisiva, e una condanna comporterà il rimborso delle spese legali.