WhatsApp a pagamento, ogni chat adesso costa 22€: nuovo calcolo del Fisco ufficializzato | Ogni volta che accedi paghi

Mazzata di WhatsApp
Clicchi su WhatsApp e vieni salassato (canva) – Moralizzatore.it

Clicchi sull’icona di Whatsapp e sborsi 22€ ogni singola volta per ciascuna chat che apri. Un salasso 2.0 che nessuno si aspettava.

Nessuno ti dà nulla per niente e adesso anche ciò che è nato come servizio gratuito ti prosciugherà il conto molto presto.

Whatsapp è l’applicazione di messaggistica più usata in tutto il mondo, si scarica gratuitamente sul proprio smartphone e si utilizza per inviare messaggi, foto e video senza nessun tipo di limite.

Tuttavia, adesso è arrivata la stangata che nessuno poteva mai immaginarsi nemmeno nei suoi incubi peggiori.

Infatti ogni volta che deciderai di usare Whatsapp potresti essere costretto a pagare circa 22€ per ogni singola chat che aprirai.

Salasso da Whatsapp, l’ennesima spesa

Di recente l’agenzia Reuters ha comunicato che un’indagine per frode fiscale, conclusa qualche mese fa, ha scoperto che il Fisco avrebbe inviato a Meta, X e LinkedIn una richiesta di pagamento dell’IVA pari a 1,04 miliardi di euro. L’indagine eseguita riguardava il trattamento dei dati personali di ogni utente fruitore delle sopracitate app.

Secondo quanto riportato da La Repubblica, le fonti sostengono che l’Italia avrebbe chiesto a Meta (azienda statunitense che controlla diverse piattaforme social tra cui anche WhatsApp), X e LinkedIn il pagamento dell’IVA rispettivamente pari a 887,6 milioni di euro, 12,5 milioni di euro e circa 140 milioni di euro per un totale di 1,04 miliardi di euro.

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Un click per il salasso (pexels) – Moralizzatore.it

Le parole di Meta

Le autorità fiscali italiane sostengono che le registrazioni degli utenti sulle piattaforme social come WhatsApp, X e LinkedIn devono essere considerate come transazioni tassabili secondo la relazione ‘sinallagmatica’. Questo termine deriva dal greco ‘synàllagma’ che significa ‘contratto’ e un contratto prevede lo scambio di qualcosa. In questo caso l’accesso ad un’applicazione per i dati degli utenti che quindi diventano come merce di scambio. Se il dato diventa merce di scambio per fini commerciali (dato che le piattaforme social comunque ne traggono vantaggio), allora dev’essere tassato. Per la Procura, i dati personali sono un controvalore alternativo rispetto al denaro e con questo controvalore alternativo Meta guadagna sugli utenti.

Alla luce di questi fatti, Meta ha comunicato tramite un suo portavoce l’opinione opposta a quella italiana affermando: “Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’IVA”. Se la questione arriva ad un punto fermo e l’Italia ottiene l’IVA su questi social, l’intera Unione Europea potrebbe esserne influenzata cambiando del tutto gli accessi a queste app e arrivando a pagare cifre piccole, che poi sommate diventano enormi, solo per poter accedere ai nostri social.