Stop ai prelievi, da oggi paghi con il bancomat e basta: non puoi più decidere
L’addio al contante si fa sempre più concreto e, per molti, la libertà di scelta sembra restringersi.
Una ventata di cambiamento si abbatte sulle nostre abitudini quotidiane, riscrivendo le regole del denaro contante.
Sembra profilarsi un futuro in cui la libertà di scegliere come pagare potrebbe diventare un ricordo sbiadito.
L’indiscrezione serpeggia con forza: addio prelievi bancomat, benvenuto obbligo di transazione elettronica.
Ma cosa si cela dietro questa potenziale rivoluzione finanziaria? Continua a leggere per scoprirlo.
Prelievi nel mirino
La recente attenzione mediatica sui controlli dell’Agenzia delle Entrate sui conti correnti ha generato non poca preoccupazione. Il Fisco ha strumenti potenti per scovare redditi non dichiarati, e le indagini sui movimenti bancari rappresentano un’arma significativa nella lotta all’evasione. L’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 concede all’Amministrazione la facoltà di esaminare i rapporti finanziari, stabilendo una presunzione ben precisa: ogni accredito (bonifico, assegno o contante) sul conto di cui il contribuente non riesce a giustificare l’origine e la natura, viene considerato automaticamente reddito non dichiarato. E in questo caso, che si tratti di un dipendente, un pensionato o un libero professionista, l’onere della prova ricade interamente sul contribuente. La questione si fa più complessa quando l’attenzione si sposta dai versamenti ai prelievi in contanti. La normativa prevede una presunzione specifica, ma non generalizzata: per gli imprenditori, i prelievi di denaro dal conto senza una valida giustificazione sono considerati indizio di ricavi “in nero”.
La logica sottostante è che tali somme potrebbero essere utilizzate per pagamenti “fuori bilancio” a fornitori o dipendenti, legati a vendite non dichiarate. I professionisti e i lavoratori autonomi che operano senza una vera e propria struttura imprenditoriale sono esclusi da questa automatica equiparazione tra prelievo non giustificato e ricavo sommerso. Questa distinzione si basa sulla natura diversa dell’attività: un’impresa organizzata necessita di costi per la produzione o la commercializzazione, e un prelievo ingiustificato potrebbe nascondere un pagamento in nero di tali costi. Per chi lavora prevalentemente con il proprio intelletto o manualità, un prelievo può avere molteplici destinazioni, anche personali o per spese professionali tracciabili.
La sentenza che fa chiarezza
A rafforzare questa interpretazione è intervenuta una recente pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio (n. 1869/2025), che ha chiarito un punto cruciale: i prelievi non documentati effettuati da liberi professionisti o autonomi privi di una struttura aziendale strutturata non possono essere considerati automaticamente ricavi nascosti. La formula “prelievi = compensi in nero” non è applicabile a chi basa la propria attività prevalentemente sul lavoro personale.
Questa esclusione si estende anche a quei soggetti il cui reddito, pur essendo fiscalmente qualificato come reddito d’impresa, non deriva da un’attività imprenditoriale in senso stretto, laddove il contributo personale risulti prevalente e manchi una vera e propria organizzazione strutturata.